Recensione: Riesenwurm
Titolo: Riesenwurm
Autore: Federico Lunardi
Editore: Robin
Pagine: 187
Prezzo: 12,00
Descrizione:
Porto di Shanghai. Un maldestro
elettricista in trasferta di lavoro finisce sfortunatamente imprigionato in un
container, all'interno del quale viaggia fino a raggiungere una regione remota,
sperduta in qualche punto dimenticato della carta geografica. Raccolto in fin
di vita da un gruppo di soldati che non parlano la sua lingua, è vittima di un
terribile malinteso che lo conduce ai lavori forzati in un sinistro dedalo di
gallerie. Lavoro duro e niente riposo, difficoltà di comunicazione, aria
viziata, cibo schifoso, ma non solo. Le gallerie tremano, una minaccia
silenziosa incombe sulla miniera, e cresce di giorno in giorno. Cos'è la
poltiglia verdastra che i minatori sono costretti a raccogliere? Cosa infesta
quell'oscuro labirinto? Per sopravvivere bisogna mantenere i nervi saldi ma,
con schiavitù e paura a intorpidire la mente, basta un solo passo falso per
precipitare nel baratro della follia. Come può un semplice elettricista,
proiettato in un incubo terrificante, trovare il modo di salvarsi e tornare alla
sua vita di sempre?
La recensione di Miriam:
Una banale giornata di lavoro: è quello
che si aspetta il giovane protagonista del romanzo, quando approda al porto di
Shangai in veste di elettricista. E fino all’ora di pranzo non ottiene altro
che questo. È una piccola distrazione, una scelta poco ponderata a cambiare
tutto precipitandolo in un vero incubo. L’uomo s’infila in un container aperto,
giusto per cambiarsi la maglietta sporca prima di andare a mangiare con i
colleghi, ma prima che possa uscirne, l’ingresso si richiude alle sue spalle.
Inutile urlare e bussare contro il portellone: nessuno lo sente, probabilmente
nessuno è già più nei paraggi. Dopo poco, infatti, il malcapitato scopre di
essere in movimento, in viaggio per chissà dove.
Freddo, buio, sporcizia, solitudine (escludendo
alcuni roditori invadenti e insidiosi), claustrofobia. Sono queste le
sensazioni che riempiono la lunga, angosciosa, trasferta, insieme alla speranza
di giungere quanto prima a destinazione, riconquistare la libertà e tornare a
casa. Già perché un simile incidente non può che concludersi così… o forse no?
In realtà l’epilogo per lo sventurato è
ben diverso. Quando la porta della sua prigione si apre, si ritrova in un luogo
che non riesce a riconoscere, al cospetto di militari che non parlano la sua
lingua e che non sembrano affatto amichevoli. Non gli prestano cure amorevoli
né si interessano alla sua disavventura; al contrario, lo sequestrano e lo
mandano ai lavori forzati.
Una specie di miniera sotterranea, piena
di una strana poltiglia verde che odora di benzina: sarà questa la sua nuova
“casa” per il prossimo futuro. Sarà qui che l’uomo, insieme a un gruppo di
sconosciuti, anch’essi capaci di esprimersi solo in lingue che non conosce
(eccetto uno cui si aggrapperà disperatamente), dovrà sgobbare e lottare per
sopravvivere. La fatica fisica, l’aria pestilenziale, gli orari massacranti e
le percosse non sono i soli ostacoli con cui dovrà confrontarsi perché in quei
cunicoli sotterranei incombe un’altra minaccia. Qualcosa di orribile e letale,
un orrore strisciante da cui difendersi per aver salva la pelle ma a cui
guardare per ottenere le risposte che nessun altro sembra disposto a
concedergli.
Se amate le storie in bilico fra horror e
fantascienza, ricche di mistero e suspense, Riesenwurm
è sicuramente pane per i vostri denti. Nello spazio di poche pagine l’autore
riesce a calarci in pieno nei panni del protagonista ̶ voce
narrante in prima persona ̶ facendoci percepire in maniera vivida il suo
senso di oppressione, di solitudine, la sua paura e lo smarrimento. Sin dalle
primissime righe cattura l’attenzione, creando un forte senso di attesa misto a
disagio, legato all’impossibilità di presagire quel che accadrà.
La verità, agghiacciante, ci viene servita
a piccole dosi, sicché la curiosità rimane altissima e, se possibile, cresce in
maniera esponenziale man mano che si procede nella lettura.
Cos’è la poltiglia verde che i condannati
ai lavori forzati devono raccogliere giorno dopo giorno? Chi sono i loro
aguzzini? Perché il numero dei lavoratori diminuisce a ritmo vertiginoso e c’è
un frequente ricambio? E soprattutto a cosa si devono gli scossoni che di tanto
in tanto fanno tremare le gallerie mettendo tutti in fuga?
Sono solo alcuni degli interrogativi che
scandiscono una vicenda da brividi.
Per ovvie ragioni non entrerò nei
dettagli, lasciando a voi il piacere di scoprire quale segreto si nasconde in
queste miniere dell’orrore e quali creature le infestano, vi anticipo solo che
la scoperta vi sorprenderà non tanto per quel che la fantasia dell’autore ha
partorito quanto per il messaggio che veicola. Il romanzo stupisce, intrattiene
e regala scariche di adrenalina, ma nello stesso tempo si offre a una seconda
chiave di lettura meno votata al divertimento e più impegnata. L’odissea del
giovane deportato per sbaglio svelerà gradualmente una verità che chiama in
causa un’invasione aliena e un progetto di sfruttamento messo a punto da chi
governa il nostro mondo ma soprattutto metterà in evidenza la sconsideratezza e
la stupidità di chi, accecato dalla smania di arricchirsi, finisce per mettere
a repentaglio l’intero genere umano, compreso se stesso. Un atteggiamento
questo che, se sganciato dal contesto fantascientifico in cui Lunardi lo colloca
e ricondotto al nostro presente, acquisisce contorni fin troppo reali,
offrendoci materiale in abbondanza su cui riflettere.
“Mi
sono ritrovato al centro di un affare grosso, redditizio, criminale”
constaterà il protagonista giunto alla resa dei conti. “Quando si parla di certe cifre i diritti umani vengono messi da parte,
altroché. Qualcuno, ai piani alti del palazzo, ha chiuso un occhio di fronte a
certe cose. Ha sfruttato senza scrupolo una miniera d’oro caduta letteralmente
dal cielo, mettendo a repentaglio la vita di molte persone e, temo,
l’incolumità del pianeta stesso.”
Non vi suona paurosamente familiare?
Davvero un ottimo esordio coronato da un
finale che personalmente ho apprezzato tantissimo perché, rinunciando al
sollievo della speranza, sortisce l’effetto di un monito urlato a gran voce.
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