Recensione: Paradisi Perduti
Titolo: Paradisi perduti
Autrice: Ursula K. Le Guin
Editore: Delos Books
Collana: Odissea Fantascienza
Pagine: 144
Prezzo: 11,80 euro
eBook: 5,99 euro
Autrice: Ursula K. Le Guin
Editore: Delos Books
Collana: Odissea Fantascienza
Pagine: 144
Prezzo: 11,80 euro
eBook: 5,99 euro
Descrizione:
Sono passati centoventi anni dalla partenza dalla Terra, e ne mancano
ancora più di quaranta all’arrivo a Nuova Terra, il pianeta che, si spera,
potrà ospitare la prima colonia umana fuori dal sistema solare
L’astronave è gigantesca. La vita a bordo delle migliaia di esseri umani è perfettamente programmata, per conservare l’equilibrio sociale, biologico, ecologico, genetico.
Ma ora, alla quinta generazione nata in viaggio, sta accadendo qualcosa di imprevisto: molti semplicemente non vogliono arrivare a destinazione.
La vita sull’astronave è perfetta, perché lasciarla per un futuro incerto su un ignota palla di polvere?
Ma il conflitto tra chi vuole portare a termine la missione e chi vuole continuare il viaggio all’infinito non è l’unica crisi che mette in crisi la missione.
I navigatori della nave sono a conoscenza di un segreto che potrebbe far precipitare gli eventi con risultati imprevedibili.
L’astronave è gigantesca. La vita a bordo delle migliaia di esseri umani è perfettamente programmata, per conservare l’equilibrio sociale, biologico, ecologico, genetico.
Ma ora, alla quinta generazione nata in viaggio, sta accadendo qualcosa di imprevisto: molti semplicemente non vogliono arrivare a destinazione.
La vita sull’astronave è perfetta, perché lasciarla per un futuro incerto su un ignota palla di polvere?
Ma il conflitto tra chi vuole portare a termine la missione e chi vuole continuare il viaggio all’infinito non è l’unica crisi che mette in crisi la missione.
I navigatori della nave sono a conoscenza di un segreto che potrebbe far precipitare gli eventi con risultati imprevedibili.
L'autrice:
URSULA KROEBER LE GUIN è una delle principali autrici viventi di
fantascienza e fantasy. Nata a Berkeley nel 1929, figlia di un importante
antropologo e di una scrittrice di fiabe, iniziò a scrivere fantascienza fin
dalla tenerissima età. Laureata in storia della letteratura francese e del Rinascimento italiano, ha vissuto per anni a Parigi e conosce bene la nostra
lingua. Tra gli anni Sessanta e Settanta pubblica i suoi maggiori capolavori di
fantascienza: La mano sinistra delle
tenebre (1968) e I reietti dell’altro
pianeta (1973), che vincono entrambi il premio Hugo e il premio Nebula, e Il mondo della foresta (1973), premio Hugo. Vince altri due premi Hugo nel
1973 con il racconto seminale Quelli che
si allontanano da Omelas e nel 1988 con Le
ragazze bufalo. Parallelamente
scrive anche fantasy, con la trilogia (in seguito estesa con altri libri) del Mago di Earthsea, o di Terramare come vuole la traduzione più
recente dopo l’uscita del film di Goro Miyazaki I racconti di Terramare, ispirato ai romanzi. Nel 1997 è stata
finalista al premio Pulitzer.
Dal romanzo Paradisi perduti il compositore Stephen Andrew Taylor ha tratto un’opera che ha debuttato nell’aprile del 2012.
Dal romanzo Paradisi perduti il compositore Stephen Andrew Taylor ha tratto un’opera che ha debuttato nell’aprile del 2012.
La recensione di Miriam:
Una gigantesca astronave in viaggio da 120 anni. A bordo
circa 4000 anime in rotta verso una destinazione ignota.
Sembrerebbe un reality del futuro, invece è il nucleo intorno a cui si sviluppa il romanzo breve di Ursula Le Guin “Paradisi Perduti” apparso per la prima volta in America nel 2002 nella raccolta The Birthday of the World: and Other Stories e ora giunto in Italia grazie a Delos Books.
Si tratta di un vero e proprio gioiellino letterario che segna il ritorno della grande autrice alla fantascienza classica ma che allo stesso tempo si configura come un racconto in grado di rompere gli schemi più tradizionali.
Tutto si svolge all’interno della Discovery partita dalla vecchia Terra per raggiungere un nuovo pianeta, presumibilmente abitabile. Vista la lunghezza del viaggio, il veicolo è progettato come un vero e proprio mondo in miniatura assolutamente autosufficiente e, per quanto possibile, perfetto.
Dal giorno della sua partenza ben cinque generazioni si sono avvicendate cosicché quelle rimaste a bordo, e che probabilmente raggiungeranno la meta, sono persone nate e vissute lì, gente che di fatto non ha mai conosciuto il suo pianeta di origine.
L’autrice punta l’immaginario occhio di una telecamera su questo microcosmo ovattato, lo descrive, lo analizza, lo viviseziona, delineando i tratti di una società utopica, non scevra però di risvolti problematici.
Peculiarità del romanzo è quella di non possedere una vera e propria trama in svolgimento ma di configurarsi piuttosto come una sorta di “segmento di mezzo”, l’anello di congiunzione tra un prima ormai abbondantemente dimenticato e un dopo completamente ignoto. Otteniamo così quasi un fermo immagine che cattura i dettagli del momento lasciando scivolare sullo sfondo il susseguirsi degli avvenimenti.
Tutto ciò che l’equipaggio della Discovery conosce della vecchia Terra passa attraverso informazioni di seconda mano che i più giovani ricevono a scuola attraverso gli schermolibri e brevi incursioni nella “Terra virtuale”, una specie di gioco di ruolo che riproduce il vecchio mondo. Se paragonata alla vita sull’astronave, quella terrestre appare spaventosa, pericolosa, indesiderabile. Sporcizia, malattie, pericoli, guerre o miseria sono completamente assenti nel mondonave in cui tutto è programmato nei minimi dettagli e il benessere è garantito.
Il pianeta di arrivo, quello da colonizzare, sarà migliore o sarà un’altra “palla di fango” che riserva disagi e sofferenze?
Man mano che la meta si avvicina, il dubbio si fa sempre più pressante al punto che qualcuno comincia a sperare di non giungere mai a destinazione. Una speranza questa che diviene sempre più forte e più diffusa fino a tradursi nella nascita di una nuova religione, quella degli Angeli che assimila il viaggio stesso al paradiso negando l’esistenza di un luogo altro da conquistare. Quasi un’apologia del “qui e ora” che alimenta il senso di riconoscenza per quanto si ha già ma che contemporaneamente spinge all’inerzia con le sue relative conseguenze.
Il filo narrativo si avvolge sulla descrizione della vita a bordo, delle regole e le dinamiche che sorreggono la sua particolare comunità tanto che, a tratti, si ha l’impressione di leggere un saggio antropologico più che un’opera di fiction. Questa peculiarità rappresenta sia il punto di forza che il punto di debolezza dell’opera. Forza perché pone l’accento su tematiche di grandissimo interesse suscitando considerazioni che fanno di questo piccolo romanzo un’opera di grande spessore filosofico; debolezza perché un simile impianto rinuncia al carattere di intrattenimento tipico di certa sci-fi e ne limita, in parte, la fruibilità richiedendo un notevole impegno da parte del lettore.
Sebbene il racconto si componga di sole 135 pagine, non si legge tutto d’un fiato e se si vogliono cogliere tutte le sfumature una sola lettura non basta.
Se siete alla ricerca di una storia dinamica, ricca di azione o che vi tenga con il fiato sospeso, sicuramente questo non è il libro che fa per voi.
Se, al contrario, avete un debole per le speculazioni filosofiche, come me, i Paradisi Perduti della Le Guin sono pane per i vostri denti. In poco spazio l’autrice condensa un bagaglio di riflessioni quasi inesauribile che, chiamando in causa l’annoso dibattito tra religione e scienza, riflette con straordinaria efficacia la condizione che l’umanità − oggi forse più di ieri − sta vivendo.
Uomini ormai quasi dimentichi delle loro radici, proiettati verso un futuro incerto…
Non vi suona, forse, familiare?
Sembrerebbe un reality del futuro, invece è il nucleo intorno a cui si sviluppa il romanzo breve di Ursula Le Guin “Paradisi Perduti” apparso per la prima volta in America nel 2002 nella raccolta The Birthday of the World: and Other Stories e ora giunto in Italia grazie a Delos Books.
Si tratta di un vero e proprio gioiellino letterario che segna il ritorno della grande autrice alla fantascienza classica ma che allo stesso tempo si configura come un racconto in grado di rompere gli schemi più tradizionali.
Tutto si svolge all’interno della Discovery partita dalla vecchia Terra per raggiungere un nuovo pianeta, presumibilmente abitabile. Vista la lunghezza del viaggio, il veicolo è progettato come un vero e proprio mondo in miniatura assolutamente autosufficiente e, per quanto possibile, perfetto.
Dal giorno della sua partenza ben cinque generazioni si sono avvicendate cosicché quelle rimaste a bordo, e che probabilmente raggiungeranno la meta, sono persone nate e vissute lì, gente che di fatto non ha mai conosciuto il suo pianeta di origine.
L’autrice punta l’immaginario occhio di una telecamera su questo microcosmo ovattato, lo descrive, lo analizza, lo viviseziona, delineando i tratti di una società utopica, non scevra però di risvolti problematici.
Peculiarità del romanzo è quella di non possedere una vera e propria trama in svolgimento ma di configurarsi piuttosto come una sorta di “segmento di mezzo”, l’anello di congiunzione tra un prima ormai abbondantemente dimenticato e un dopo completamente ignoto. Otteniamo così quasi un fermo immagine che cattura i dettagli del momento lasciando scivolare sullo sfondo il susseguirsi degli avvenimenti.
Tutto ciò che l’equipaggio della Discovery conosce della vecchia Terra passa attraverso informazioni di seconda mano che i più giovani ricevono a scuola attraverso gli schermolibri e brevi incursioni nella “Terra virtuale”, una specie di gioco di ruolo che riproduce il vecchio mondo. Se paragonata alla vita sull’astronave, quella terrestre appare spaventosa, pericolosa, indesiderabile. Sporcizia, malattie, pericoli, guerre o miseria sono completamente assenti nel mondonave in cui tutto è programmato nei minimi dettagli e il benessere è garantito.
Il pianeta di arrivo, quello da colonizzare, sarà migliore o sarà un’altra “palla di fango” che riserva disagi e sofferenze?
Man mano che la meta si avvicina, il dubbio si fa sempre più pressante al punto che qualcuno comincia a sperare di non giungere mai a destinazione. Una speranza questa che diviene sempre più forte e più diffusa fino a tradursi nella nascita di una nuova religione, quella degli Angeli che assimila il viaggio stesso al paradiso negando l’esistenza di un luogo altro da conquistare. Quasi un’apologia del “qui e ora” che alimenta il senso di riconoscenza per quanto si ha già ma che contemporaneamente spinge all’inerzia con le sue relative conseguenze.
Il filo narrativo si avvolge sulla descrizione della vita a bordo, delle regole e le dinamiche che sorreggono la sua particolare comunità tanto che, a tratti, si ha l’impressione di leggere un saggio antropologico più che un’opera di fiction. Questa peculiarità rappresenta sia il punto di forza che il punto di debolezza dell’opera. Forza perché pone l’accento su tematiche di grandissimo interesse suscitando considerazioni che fanno di questo piccolo romanzo un’opera di grande spessore filosofico; debolezza perché un simile impianto rinuncia al carattere di intrattenimento tipico di certa sci-fi e ne limita, in parte, la fruibilità richiedendo un notevole impegno da parte del lettore.
Sebbene il racconto si componga di sole 135 pagine, non si legge tutto d’un fiato e se si vogliono cogliere tutte le sfumature una sola lettura non basta.
Se siete alla ricerca di una storia dinamica, ricca di azione o che vi tenga con il fiato sospeso, sicuramente questo non è il libro che fa per voi.
Se, al contrario, avete un debole per le speculazioni filosofiche, come me, i Paradisi Perduti della Le Guin sono pane per i vostri denti. In poco spazio l’autrice condensa un bagaglio di riflessioni quasi inesauribile che, chiamando in causa l’annoso dibattito tra religione e scienza, riflette con straordinaria efficacia la condizione che l’umanità − oggi forse più di ieri − sta vivendo.
Uomini ormai quasi dimentichi delle loro radici, proiettati verso un futuro incerto…
Non vi suona, forse, familiare?
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