Recensione: Offspring. Progenie cannibale
Titolo: Offspring. Progenie cannibale
Autore: Jack Ketchum
Traduzione e illustrazioni di Paolo di Orazio
Editore: Cut-Up
Pagine: 260
Prezzo: 16,00
Descrizione:
L’anziano e stanco ex poliziotto
George Peters torna ad affrontare un vecchio caso ritenuto risolto. Incubi a
parte, viene chiamato da uno strano vento. Quello della mente che spira su tre
famiglie americane, completamente diverse tra loro, e le riunisce in una
località sperduta del Maine chiamata Dead River. Questo vento comune a tutti,
che sa di ferro e salsedine, sangue e violenza, rabbia e passione, li cattura e
li fa esplodere nella follia primordiale. La sopravvivenza è l’impulso bestiale
delle vittime, l’omicidio quello vitale dei cannibali guidati da La Donna, il
cui scopo è, da undici estati, proteggere la propria famiglia, fornirle cibo e
dare pace a uno spirito infuriato. Complici il bosco e la luna piena
dell’America dei primi ‘90, la rivisitazione di una leggenda irlandese in un
vero e proprio purgatorio di lame, proiettili e dolore.
L’autore:
JACK KETCHUM pubblica racconti e
romanzi dal 1980. Autore cult del noir estremo e lo slasher horror, ha vinto
numerosi Bram Stoker Awards, è stato condannato dal settimanale americano
Village Voice per pornografia violenta. Ketchum ama Elvis Presley, i dinosauri
e l’Horror. Tra i numerosi romanzi, alcuni divenuti poi film altrettanto
violenti e premiati, in Italia sono usciti La ragazza della porta
accanto(Gargoyle, 2009) e Sentieri di Sangue(Independent Legions, 2016).
La recensione di Miriam:
Una ragazza assassinata, mutilata
degli arti e svuotata di cuore e cervello, e una neonata scomparsa. Senza
preavviso, in maniera diretta, brutale, Ketchum ci scaraventa in una cucina
trasformata in mattatoio. Questa scena non è che l’inizio di un orrore ben più
raccapricciante, di una caccia al colpevole dal ritmo serrato, che si consumerà
in due soli giorni, ma rende subito l’idea delle atmosfere e delle descrizioni
che ci accompagneranno nel corso dell’intera lettura.
L’idea è quella di precipitare in un
incubo, più lungo dello spazio di una notte, in cui una serie di immagini
terrificanti ci assale. Eppure a renderle inquietanti non è tanto la loro
efferatezza quanto la loro aderenza alla realtà, perché dietro atti aberranti – che includono il
cannibalismo – non
si celano creature sovrannaturali, ma esseri umani, spogliati (in senso
figurato e letterale) della loro umanità.
L’omicidio con cui si apre il
romanzo, stabilisce subito un legame con Off
Season, di cui Offspring è il
sequel. Il modus operandi, ma soprattutto la presenza di gocce di urina a
marcare il territorio, rimandano infatti a un altro caso risalente a undici
anni prima, ragion per cui viene
interpellato Peters, lo sceriffo ormai in congedo, in servizio ai tempi.
La storia procede in un’alternanza
di sequenze che dal centro abitato si spostano nel bosco. Da una parte i
riflettori sono puntati su Claire, in fuga con il figlio Luke, da suo marito
Stephen, alcolizzato e violento. La donna si rifugia in casa degli amici Amy e
David proprio in concomitanza con
l’inizio delle indagini e ben presto finirà con gli altri nel mirino
degli assassini. Dall’altro osserviamo la grottesca quanto raccapricciante
famiglia cannibale che manovra i fili di questo macabro gioco.
La trama piuttosto semplice e lineare
non riserva grandissime sorprese; non c’è un vero mistero da svelare poiché sin
dal principio si sa chi sono i mostri in azione – siamo appunto in presenza di un incubo che si
ripete. Nonostante ciò, si rimane comunque con il fiato sospeso, sopraffatti
dal ritmo concitato con cui la violenza sale, seguendo una curva iperbolica. Il
gore è un po’ il perno intorno a cui tutto si muove, l’elemento caratterizzante
e che ben rappresenta il processo di disumanizzazione cui assistiamo a
trecentosessanta gradi.
A rimanere impresse sono
soprattutto le descrizioni, esplicite, estreme, disturbanti e i personaggi
connotati da fortissimi tratti animaleschi. Quando l’autore ci fa entrare nel
microcosmo costituito dalla tribù nel bosco, consentendoci di osservare il suo
stile di vita, la sua routine, si afferma la netta impressione di essere di
fronte a un branco di belve feroci, esseri che hanno dimenticato qualsiasi
forma di civiltà e che vivono
assecondando gli istinti più primordiali, senza freni, senza remore. Nessuna
vendetta o raptus di follia, il motivo per cui ammazzano è il bisogno di sfamarsi e di sfamare i figli,
per garantire la sopravvivenza della propria progenie: semplice quanto
orripilante.
Se la bestialità della famiglia
cannibale è quasi scontata, non meno disturbante risulta quella di Stephen,
uomo brutale, violento, rivoltante al punto che potrebbe integrarsi
tranquillamente nel gruppo. E questa similitudine, forse, rappresenta l’aspetto
più inquietante poiché ci mostra quanto sia breve la distanza e con quanta
facilità l’uomo comune –
il marito, il padre di famiglia, il signore della porta accanto – possa mutarsi in mostro,
trasformando in realtà i sogni più terrorizzanti.
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