Titolo: L'uomo di gesso
Autrice: C.J. Tudor
Editore: Rizzoli
Pagine: 347
Prezzo: 20,00
Descrizione:
Guardandosi indietro, tutto è cominciato
quel giorno alla fiera, con il terribile incidente sulla giostra. Il giorno in
cui Ed, dodicenne, ha incontrato per la prima volta l’Uomo di Gesso. È stato
proprio lui, l’Uomo di Gesso, a dargli l’idea di utilizzare quei disegni per i
messaggi con il suo gruppo di amici. E all’inizio era uno spasso, per tutti.
Fino a quando non è stato ritrovato il cadavere di una ragazzina. Ma sono
passati trent’anni, e Ed pensava di essersi lasciato il passato alle spalle.
Poi, per posta, riceve una busta: un gessetto, e il disegno di un uomo
stilizzato. Certe storie non finiscono. Il gioco, per Ed e i suoi amichetti di
un tempo, ricomincia da capo. L’Uomo di Gesso è di nuovo tra loro.
La recensione di Miriam:
Un’estate di molti anni fa, un gruppo di
amici che scorrazzano nei boschi in sella alle loro biciclette. Eddie Munster,
considerato un diverso per via dei suoi genitori anticonvenzionali; Gav La
Palla, una famiglia tanto ricca da fare invidia e qualche chilo di troppo;
Hoppo, senza padre, e per tutti il figlio sfigato della donna delle pulizie;
Micky Metallo, il ragazzino con i denti di ferro, ma anche il fratello inetto
del bullo del quartiere; Nicky, capelli di brace e sempre qualche livido da
nascondere, è l’unica ragazza ma anche il vero maschiaccio della compagnia.
Se siete fan di Stephen King, sicuramente
queste poche righe vi avranno provocato l’effetto di un déjà-vu. Devo ammettere
che è proprio quello che ho provato cominciando a leggere L’uomo di gesso e che, inizialmente, mi ha fatto temere una grande
delusione, perché il confronto con un capolavoro come It non si può reggere.
Tante sono le similitudini fra i
protagonisti (impossibile non pensare a Ben Hanscom, incontrando Gav, o a
Beverly Marsh imbattendosi in Nicky, solo per fare i due esempi più lampanti),
ma le somiglianze non si limitano a questo. I boschi in cui i ragazzini vivono
le loro avventure rievocano inevitabilmente i Barren, la banda dei bulli
capitanati da Sean Cooper non può che ricordare Henry Bowers e compagni; e poi
c’è la ripartizione della storia in due tempi. All’epoca dell’infanzia qualcosa
di orribile accade, marchiando a fuoco un’estate che rimarrà impressa per
sempre nella memoria e a distanza di trent’anni (intervallo di tempo familiare)
i vecchi amici, che nel frattempo sono cambiati e si sono persi di vista (forse
non vi sorprenderà che Gav sia dimagrito), si ritrovano a fare i conti con i
fantasmi del passato. Sì, perché l’incubo è tornato. In questo caso non ha la
faccia di un clown e non offre palloncini, si presenta sotto le mentite spoglie
di un più sobrio omino disegnato con i gessetti, ma l’idea di fondo resta.
Pur trovando godibile la lettura, anche
perché l’autrice ha uno stile molto accattivante e sa benissimo come alimentare
la suspense, fino a circa metà libro sono rimasta scettica. Non riuscivo a
condividere l’entusiasmo di chi ha acclamato questo come il thriller dell’anno
perché mi sembrava di avere davanti la pallida imitazione di una storia già
letta.
Andando avanti, tuttavia, ho avuto
occasione di ricredermi, almeno in parte, perché quando si entra nel vivo del
mistero che ruota intorno all’uomo di gesso, le similitudini con l’opera kinghiana,
per fortuna, cominciano ad attenuarsi fino a perdersi. A un certo punto, il
romanzo acquisisce una sua identità autonoma e devo riconoscere che è anche
molto interessante.
L’incubo comincia quando un gioco ideato
dai bambini su suggerimento di un insegnante, l’enigmatico signor Halloran, si
trasforma in una sorta di macabra caccia al tesoro. Il gioco consiste nel
comunicare con i propri amici utilizzando dei messaggi in codice tracciati a
terra con i gessetti. Ogni giocatore usa sempre lo stesso colore cosicché gli
altri, quando scovano un disegno, sanno chi sta cercando di comunicare con
loro. Si tratta di uno scambio innocuo, un modo divertente per darsi
appuntamento in un determinato posto o invitare i compagni a fare qualcosa di
proibito, senza essere scoperti dagli adulti. La musica cambia però il giorno
in cui dei disegni realizzati in un colore che nessuno del gruppo utilizza
guidano i ragazzini alla scoperta dei pezzi di un cadavere sparpagliati nel
bosco.
Chi è l’autore di quei messaggi e dei
crimini che nel tempo si moltiplicano? A distanza di trent’anni nessuno sembra
ancora saperlo.
Sebbene non manchino alcune sfumature
horror, il mostro da stanare e combattere qui non ha nulla di soprannaturale. I
delitti che reclamano una spiegazione e l’identificazione di un colpevole sono
completamente radicati nella realtà e, fuori da qualsiasi metafora, ci parlano
di una comunità chiusa, per molti versi bigotta, come quella di Anderbury, di
atrocità commesse per paura, debolezza, fanatismo religioso, che mettono a nudo
la fragilità umana.
Caratterizzando in maniera mirabile i
personaggi, dipingendo un affresco vivido del luogo in cui la vicenda è
ambientata e del periodo in cui si svolge (siamo nel 1986), la Tudor ci offre
uno spaccato realistico di quella che può essere la vita in un paesino e dei
segreti inenarrabili che può celare dietro la sua facciata puritana e perfetta,
ma nondimeno ci guida negli abissi della mente umana, laddove alberga la follia.
Il confronto con l’uomo di gesso non segna
il passaggio dall’infanzia all’età adulta, come accadeva con It, ma nondimeno
segna una tappa formativa importante nella vita dei protagonisti, richiamandoli
alla responsabilità e mostrando loro che anche l’omissione può essere una colpa
e può produrre spiacevoli conseguenze.
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