Titolo: I giorni della Bestia
Autrice: Charlee Jacob
Traduttore: Nicola Lombardi
Revisione a cura di Alessandro Manzetti
Illustrazione di copertina di George Cotronis
Editore: Independent Legions Publishing
Lunghezza stampa: 232
Formato: eBook (anche in cartaceo da fine giugno)
Prezzo: 4,99 (disponibile in preorder al prezzo speciale di 3,99 fino al 16 giugno)
Disponibile qui
Descrizione:
La prima raccolta di racconti della regina dell’hardcore/extreme horror internazionale, vincitrice di quattro Bram Stoker Awards©, tradotta in italiano per la prima volta. Un’opera cult dell’horror mondiale.
Charlee Jacob (1952) è un'autrice americana di horror e dark fantasy, tra i più grandi interpreti al mondo del sottogenere hardcore/extreme horror, esplorato nei suoi recessi più profondi, ignobili e ripugnanti, con una prosa ricca, lirica, di alto livello che la distingue da tutti gli altri interpreti del gore, dello splatter, dell’horror estremo, e tramite una visione grandguignolesca innovativa, macabra e poetica, colta e visionaria, raccapricciante e brutale nella quale il subconscio è spesso protagonista. Tra i temi più frequentemente sviluppati dalla Jacob, la necrofilia, il cannibalismo, i piaceri devianti come lo stupro e l’incesto, il sadomasochismo, il suicidio, la tortura, l’incubo delle tenebre che insegue, costantemente, il lettore.
Grazie alle sue opere, Charlee Jacob ha vinto ben quattro Bram Stoker Awards e moltissimi altri premi.
Questa sua prima raccolta di racconti, pubblicata per la prima volta nel 1998 (titolo originale: 'Dread in the Beast: A Hardcore Horror Collection'), considerata un vero e proprio cult della narrativa horror, sintetizza tutte le caratteristiche di questa grandissima autrice. Include 14 racconti: 'Guarda', 'Il Tocco Oscuro', 'Il Giorno della Bestia', 'Diavoli Ubriachi e Mogli Sante', 'Fuoco', 'Golem Girl e lo Spazio-Cripta', 'Trapianti di Delicato Merletto', 'Misericordia', 'Ferita Mortale', 'Il Marchio della Notte', 'Bocca di Bisturi', 'Morti e Splendenti', 'I Limiti di Zen', e 'La Donna in Rosso'.
La recensione di Miriam:
Il genere umano non dà sempre
un bello spettacolo di sé. A ben guardare, persino i momenti salienti della nostra esistenza, quelli che solitamente
la letteratura idealizza e dota di aura romantica, hanno un che di
raccapricciante: nasciamo e moriamo fra sangue ed escrementi, ci amiamo tra
sudore e umori appiccicosi; sporchiamo ed emettiamo cattivo odore, al pari
degli animali. Coviamo istinti primordiali, feroci, gli stessi delle bestie, il
gradino che, almeno allo stato attuale, ci distingue, è rappresentato da quella
sovrastruttura chiamata civiltà; per dirla con Freud, da quell’insieme di
regole e codici morali, autoimposti dall’esterno e introiettati dal Super-Io,
allo scopo di imbrigliare la nostra vera natura.
In sintesi, se l’uomo non
avesse catene, sarebbe a tutti gli effetti una bestia.
Sembra essere questa l’idea
che attraversa la raccolta di Charlee Jacob. I giorni della Bestia annunciati nel titolo, e giustamente
rievocanti un’immagine demoniaca, in realtà non paventano la venuta di un
essere munito di corna e forcone ma una sorta di “liberazione” della vera
natura umana, con l’inferno che ovviamente
ne consegue.
Se i tabù crollassero, se le
catene legali e morali che trattengono i nostri istinti naturali si
spezzassero, che genere di civiltà potrebbe svilupparsi? Quali spettacoli
potrebbero offrirsi ai nostri occhi?
Probabilmente assisteremmo
alla nascita di una Superbestia, una
trasposizione in chiave negativa del superuomo nietzschiano – che è esattamente quanto
accade nel racconto che ispira il titolo stesso dell’antologia.
Sono fotografie scattate con
le parole i quattordici racconti proposti in questo libro, l’autrice spoglia l’uomo
di tutte le maschere e ne mette a nudo il lato oscuro, rinunciando a qualsiasi
filtro.
Semplicemente registra,
ritrae, con un’attenzione quasi morbosa per il dettaglio e un estremo
realismo, immagini di morte, violenza,
abusi, situazioni in cui gli esseri umani realizzano i loro sogni più perversi.
Si tratta di immagini che sferzano per la loro crudezza e mettono davvero a dura
prova lo stomaco, giacché non ci vene risparmiato
neanche il più piccolo particolare raccapricciante. La Jacob ci spiattella davanti, in maniera più che
brutale, interiora rivoltate, corpi squartati, arti amputati – addirittura scolpiti come fossero bonsai umani – mostrandoci appunto l’aspetto più animalesco e più perverso dell’uomo.
La morte e la sofferenza vengono depauperate di qualsiasi sacralità; non
vediamo mai cadaveri composti, affidati a cure amorevoli, né soggetti che soffrono
con dignità: i protagonisti di queste storie sono animali al macello, sono carne,
sangue ed escrementi. Muoiono e soffrono affogando nei loro umori e nella loro
pochezza. Nondimeno godono delle loro perversioni: dall’antropofagia al
masochismo, passando per lo stupro, l’incesto e la necrofilia, ne vedremo
sfilare a bizzeffe fra le pieghe macabre di questi testi. Ci imbatteremo, per
esempio in una moglie così innamorata del marito che quando muore in un tragico
incidente, pensa bene di cibarsi del suo cadavere per tenerlo sempre dentro di
sé (Fuoco); conosceremo Lena che per
godere sessualmente è costretta a procurarsi ferite e ustioni sempre più gravi
(Trapianti di delicato merletto); giovani
allo sbando che per concedersi qualche ora di svago assistono all’orripilante spettacolo
live in cui un uomo esibisce una ferita viva che danza, spostandosi lungo il
suo corpo fino a decretarne il decesso (Ferita
mortale); faremo incursione in un singolare reparto ospedaliero in cui i
malati diventano carne da gustare (Bocca di bisturi).
È un’umanità malata, dai difetti spinti al
parossismo e per certi versi caricaturale, quella che sfila racconto dopo
racconto, ma a essere amplificate sono pulsioni tutt’altro che estranee alla
nostra specie.
A scuotere, infatti, non è tanto la quasi “pornografia”
delle immagini che ci vengono sbattute in faccia, quanto la consapevolezza
della loro autenticità, giacché nella bruttezza ostentata, nella puzza che si
sente forte, come fosse davvero nell’aria, c’è un fondo di verità.
Le trame sono varie, fantasiose, e assumono
sfumature che abbracciano diversi generi, dall’extreme horror alla fantascienza
distopica e al cyberpunk.
Particolarmente inquietanti, dal mio punto di
vista, sono proprio i racconti che ci proiettano in un ipotetico futuro,
spingendo ancor più oltre il limite la follia e la perversione umane. Penso a Guarda, ambientato in un futuro in cui
la tecnologia è arrivata al punto di poter offrire agli uomini dei particolari
trapianti oculari, strumenti in grado di trasformare in ologrammi i contenuti
delle loro menti – trattandosi di menti deviate potete facilmente immaginare
che non saranno immagini del tutto rassicuranti; o al visionario quanto
allucinante I limiti di Zen, forse il
racconto più disturbante dell’intera raccolta, che ci proietta in una sorta di
Sodoma e Gomorra post-apocalittica, un deserto in cui gli uomini per espiare i
loro peccati, a ogni solstizio, immolano
una capra umana.
Leggendo questo libro vi sentire scaraventati
in uno spettacolo da Grand Guignol, non potrete che subirne la macabra malìa,
se amate il genere, e nel contempo vi stupirete nel vedere rappresentazioni
tanto oscene contenute in un registro stilistico che è poesia.
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