Vision Thing: Intervista ad Andrea Piera Laguzzi



Andrea Piera Laguzzi. Nata a Genova il 20 gennaio 1985, attualmente vive a Predosa, un paesino sperduto del basso Piemonte. Ha frequentato il liceo classico in Alessandria e si è  laureata a Genova in Conservazione dei Beni Culturali prima, e poi in Storia dell'Arte. È un’artista autodidatta, anche se per certi versi si ritiene "figlia d'arte", anzi... "nipote d'arte", tenuto conto che suo nonno era abilissimo nell'utilizzo del carboncino e della grafite, mentre la zia l’ha fatta avvicinare alla pittura a olio. Ha iniziato a cimentarsi come illustratrice per le case editrici Plesio e Dunwich. Ho iniziato la mia attività soprattutto come ritrattista e paesaggista, tuttavia ha sempre amato raffigurare scene fantasy, ispirata da grandi classici della letteratura come Il Signore degli Anelli di Tolkien e Il Mago di Ursula K. Le Guin, nonché dalla serie di videogiochi targati Blizzard, Warcraft e World of Warcraft.

Tra le altre cose, realizza anche una serie di gadget dipinti a mano, anche su commissione, ovvero sottobicchieri e orologi, raffiguranti i soggetti più disparati, generalmente fan art da film, libri o telefilm, ma anche soggetti ispirati alla natura.
Ama la musica rock (U2, Queen, Guns 'n' Roses) e metal (soprattutto epic e symphonic, con gruppi come i Kamelot, i Nightwish), nonché le colonne sonore tratte da film, telefilm o videogiochi, che spesso usa come sottofondo quando lavora.

Benvenuta in Vision Thing! Per cominciare ti va di presentarti ai nostri lettori?

Certamente! Innanzi tutto tengo a dire che sono felicissima per questa occasione di farmi conoscere. Mi chiamo Andrea Piera Laguzzi, sono una pittrice ritrattista, paesaggista,  e da circa un anno e mezzo ho intrapreso la dura strada dell’illustratrice freelance in ambito fantasy e horror.
Apprendo dalla tua biografia che sei figlia d’arte. Cosa ha significato per te vivere a contatto con un nonno e una zia artisti? In che modo questo ti ha influenzato?
Sicuramente sono stati per me un grande stimolo. In casa mia ed in quella di mia zia è sempre esistito una sorta di “horror vacui”, per cui un po’ ovunque si possono trovare appesi alle pareti disegni e dipinti di vario genere e dimensioni. La cosa che ho sempre trovato divertente è il fatto che mio nonno sapesse usare solo la grafite e il carboncino, lavorando esclusivamente in bianco e nero, mentre mia zia lavora esclusivamente coi colori ad olio, raffigurando principalmente cavalli o paesaggi con mari in tempesta: siccome io lavoro sia in bianco e nero sia a colori, usando praticamente ogni tecnica tradizionale, mi sono un po’ sempre sentita uno scrigno contenente le capacità artistiche di entrambi. Tra l’altro, è stata proprio mia zia a farmi avvicinare per la prima volta alla pittura ad olio, un’estate che sono stata ospite a casa sua. Mi mise e disposizione i suoi pennelli, i suoi colori, le sue tele… e per me fu amore alla prima pennellata!
Qual è il più grande insegnamento che pensi di aver ricevuto da tuo nonno?
Devo precisare che il mio nonno materno per me è sempre stata solo un’entità conosciuta attraverso i racconti di mia madre e di mia zia, non avendolo mai conosciuto di persona. Infatti morì prima che io nascessi. Ma era un personaggio dotato di una grande forza interiore che ho sempre potuto percepire attraverso i racconti della sua vita, sapendo che oltre che per il disegno aveva la passione per il canto e la recitazione (faceva parte del coro lirico del Teatro Carlo Felice di Genova). Tuttavia non significa che non mi abbia insegnato nulla solo perché non l’ho conosciuto di persona. Quel che mi ha insegnato credo sia interamente racchiuso in un suo disegno che mi accompagna fin da quando ho memoria: un ritratto di Gesù Cristo a carboncino, coi suoi grandi occhi scuri rivolti al cielo, con le spine che gli feriscono la fronte e una lacrima che gli scorre lungo il viso. Da lì ho capito che in ogni opera bisogna mettere anche cuore e anima, che il disegno, la pittura e l’illustrazione non sono solo questione di tecnica, ma sono soprattutto passione. E questa passione va trasmessa in ogni opera.
Raccontaci come nascono le tue opere e quali tecniche
prediligi per realizzarle.
Quando non lavoro su commissione, qualsiasi cosa può far scattare la “molla” dell’’ispirazione. Solitamente è la musica a suggerirmi un’idea, che spesso rimane anche a lungo relegata in un angolo della mente in attesa di prendere forma concreta. Ancor prima di buttar giù un qualsiasi schizzo tendo a volermi formare un’immagine precisa nella mente. Il più delle volte si tratta di soggetti fantasy, ma talvolta possono essere momenti di vita quotidiana che la mia mente perennemente oscillante tra fantasia e realtà trasforma in scene che potrebbero essere tratte da un’altra epoca: è quello che è successo, per esempio, una volta che scorsi mio marito e mio cognato eseguire dei lavori nella cascina che stanno ristrutturando. Stavano montando la cornice di legno di una finestra, e mio cognato reggeva in mano una lampada per fare luce. Era tarda sera, per cui nell’oscurità emergevano solo le loro figure illuminate da una calda luce rossastra, dietro alle vecchie inferriate della finestra. Feci una fotografia, dopodiché ne trassi un piccolo quadro a olio in cui loro erano raffigurati come degli artigiani, quasi fossero usciti da un quadro di Vermeer. Da ciò si può capire anche come sostanzialmente io mi ispiri molto alla realtà che mi circonda, per poi successivamente piegarla ai miei scopi. Un po’ come faceva il mio pittore preferito, Caravaggio. Le mie tecniche preferite sono quindi, generalmente, quelle tradizionali. Se devo dare vita immediata a un’idea che mi è passata prepotentemente in testa mi affido alla grafite, altrimenti il mio mezzo preferito sono i colori ad olio. Le tecniche digitali le ho scoperte (e affinate) in anni recenti, e le utilizzo fondamentalmente quando lavoro alle cover dei libri. Ora che ho anche un valido strumento di lavoro professionale (una Wacom Cintiq, per la precisione) inizio ad ottenere più soddisfazione anche in questo campo, e di conseguenza a cimentarmi più volentieri nella realizzazione di opere personali anche in digitale.
Tra le altre cose, realizzo anche alcuni gadget dipinti a mano con colori ad olio o acrilici, come sottobicchieri ed orologi, con soggetti ispirati a libri o film fantasy, oppure ispirati alla natura o comunque personalizzati su richiesta del committente.
Tra le altre cose hai lavorato come illustratrice per Plesio e Dunwich edizioni. Puoi dirci come sono nate queste collaborazioni e quali sono le cover da te realizzate di cui ti senti più soddisfatta?
Il mio primo approccio con mondo dell’editoria è stato con la Plesio, ormai più di tre anni fa. Nacque tutto per puro caso, quando frequentavo l’università. Fu lì che incontrai Federico Galdi, autore dei libri “Nytrya” e “Bandlòr”, editi appunto dalla Plesio. Mi raccontò di questa sua esperienza e mi proposi di realizzare per lui le copertine e le illustrazioni interne. Dopo aver visionato alcuni miei disegni accettò con entusiasmo, mi presentò alla sua editrice e nacquero così i primi progetti. Con la Dunwich la collaborazione nacque proprio tramite Giordana Gradara, editrice della Plesio. E’ un rapporto più recente, che risale all’inizio del 2014, tuttavia è una collaborazione più intensa avendomi affidato, oltre a due cover distinte, la realizzazione di due intere collane composte ciascuna di sei libri: la serie “Infernal Beast” e “Cthulhu Apocalypse”.   Ammetto che è difficile dire di quale lavoro io sia più soddisfatta. “Nytrya” e “Bandlòr” sono i miei primi lavoro e ho per loro sicuramente un legame affettivo, sono le cover che mi hanno spalancato le porte dell’illustrazione. Tuttavia, per la Plesio credo che il lavoro di cui sono più
orgogliosa sia la copertina di “Drow”: innanzi tutto perché AMO i draghi, e poterne finalmente disegnare uno per una cover mi ha dato immensa gioia. Inoltre ho potuto mettere realmente alla prova, per la prima volta, le capacità del mio nuovo strumento di lavoro. È stato entusiasmante, e il risultato lo apprezzo ancora adesso. Per quanto riguarda invece le cover della Dunwich, vado sicuramente orgogliosa dei progetti “Infernal Beast” e “Cthulhu Apocalypse” in quanto si tratta di due copertine composte da uno sfondo unitario che contiene elementi distinti raffiguranti i vari episodi raccolti nelle collane. Due lavori “corali” insomma, che stiamo mostrando solo a mano a mano che escono i vari racconti, e che verranno esposti nel loro insieme solo a collana ultimata.
Ma le cover di “L’estate segreta di Babe Hardy” e quella di “Scritti con il sangue” sono  senza dubbio quelle che mi hanno divertita e che ho amato di più.
Come organizzi il tuo lavoro quando devi realizzare una cover? Leggi il libro o la sinossi, assecondi le richieste dell’autore o dell’editore? 
Ogni cover ha una storia a sé stante, il processo di realizzazione non è sempre uguale. Per le cover della Dunwich si occupa in esclusiva l’editore, Mauro Saracino, di dirmi che immagine realizzare. Mi dà lui una descrizione generica dell’atmosfera, dei colori, degli elementi principali. Se ci sono delle richieste da parte dell’autore, si preoccupa lui di farmele conoscere in modo da accontentarlo. Talvolta, come per la serie “Infernal Beast”, o per “Cthulhu Apocalypse”, mi scrive alcune righe tratte dal racconto che possono esprimere al meglio il soggetto da rappresentare. 

Con la Plesio, invece, il rapporto si è evoluto nel tempo: inizialmente ricevevo le direttive direttamente dall’autore, tuttavia non sempre c’era accordo tra l’idea che autore ed editore avevano per la cover, così ora anche con la Plesio mi tengo in contatto e collaboro direttamente con l’editore. In ogni caso, solo per “Nytrya” e “Bandlòr” ho letto per intero (e in anteprima) i libri, ma è stato necessario al fine di realizzare le illustrazioni interne, per le quali la scelta dei soggetti era a mia discrezione. 
Ci sono degli artisti a cui ti ispiri o che consideri dei modelli? 
Sì, non sono pochi e per ciascuno c’è un perché. In primis, come già accennato, c’è Caravaggio. Di lui ammiro tutto, il modo in cui riempie di contrasti luminosi le sue opere, il suo realismo, la drammaticità che dà a gesti, pose, espressioni. Poi c’è Albrecht Dürer: quando lavoro in bianco e nero, a matita, non posso fare a meno di ispirarmi a lui e alla sua minuziosa cura per i dettagli. Quando andavo al liceo riprodussi la sua opera che preferisco, “Il cavaliere, la Morte e il Diavolo”, con dei pennini a china: ancor oggi mi mordo le mani per averlo regalato e per non avere la più pallida idea di che fine abbia poi fatto quel disegno. E poi, nell’ambito fantasy ho due maestri: in Italia, Fabio Porfidia, che ho anche avuto la fortuna di conoscere di persona e che mi ha dato qualche prezioso consiglio. Infine, il grande Samwise Didier, disegnatore della Blizzard Entertainement. 
Quali le maggiori soddisfazioni fino a oggi? C’è un momento della tua carriera artistica che ricordi con particolare orgoglio o commozione?
 Sicuramente un piccolo grande traguardo sento di averlo raggiunto quest’anno, quando sono andata il 15 maggio al Salone del Libro di Torino, ospite al mattino dello Stand Dunwich e al pomeriggio presso lo Stand Plesio, dove ho disegnato dal vivo alcuni sketch. E’ vero, sono solo agli inizi ma… quando sostavo davanti ai loro stand e vedevo coi miei occhi, toccavo con mano i libri con le mie cover…  sentivo che anche se la strada è ancora lunga e in salita, alcuni piccoli ma importanti tasselli nel puzzle della mia carriera sono stati messi. 
Se dovessi descriverti con un’immagine, quale sceglieresti? 
 Forse proprio con la copertina di “Bandlòr”… un sentiero abbandonato che attraversa una foresta buia, con alberi dai rami ritorti e, in fondo, un varco da cui esce una potente luce. È un po’ il percorso che sento di stare affrontando, una strada sicuramente non facile, insidiosa, ma alla fine della quale spero di trovare il mio personale traguardo. 
Sogni nel cassetto e progetti per il futuro?
Quelli di ogni artista e illustratore esordiente, penso. Spero di poter essere apprezzata come illustratrice e di ottenere delle commissioni anche da altre case editrici. Allo stesso tempo, mi piacerebbe riuscire a realizzare e completare una o più serie di illustrazioni tratte dalle mie opere letterarie preferite, come il “Silmarillion” di Tolkien, o “Il Mago” di Ursula K. Le Guin… illustrazioni che sognerei di esporre in una mostra personale, e di vedere poi raccolte e pubblicate.


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