Recensione: Putridarium
Titolo: Putriarium
Autore: Paolo Di Orazio
Illustrazione di copertina di Ben Baldwin
Editore: Independent Legions Publishing
Pagine: 162
Prezzo eBook: 3,99
Prezzo cartaceo: 15,18
Disponibile su amazon
Descrizione:
Dal pioniere dello Splatterpunk
Italiano, la novella vincitrice del Premio Laymon 2017. Arroccato sulla torre
del convento, a strapiombo sul mare, il Putridarium è il luogo più temuto dalle
sorelle di clausura, un antro buio e dall’aria mefitica in cui scontare i
peccati più gravi, senza certezza di uscirne vive. Angie, novizia da appena tre
mesi, è sicura di non aver fatto niente che meriti un simile castigo, eppure è
proprio lì che viene rinchiusa. L’odore di marcio, le tenebre, il silenzio, la
fame e la sete, tuttavia, non sono le sole cose a riempire la cella. Angie non
ha il coraggio di voltarsi a guardare, ma avverte minacciose presenze alle sue
spalle, il contatto con qualcosa di soffocante e ineffabile che non vuole
assolutamente affrontare… Mentre il terrore si intensifica e il tempo si
dilata, scandito dalle onde del mare, i peggiori incubi prendono forma,
sfumando i confini fra sogno e veglia, in un crescendo di dolore e solitudine
in cui si annida un’insospettabile verità.
La recensione di Miriam:
Una prigione asfittica, buia, silenziosa,
dall’aria irrespirabile: questo è il putridarium.
Un triste luogo di espiazione, posto sulla torre di un convento di clausura, in
cui le sorelle scontano i loro peccati.
Angie è novizia da pochissimi mesi,
non per vocazione, ma perché costretta dalla famiglia; nonostante ciò ha
tentato sin dall’inizio di adeguarsi alle regole, perciò quando viene rinchiusa
nella temuta prigione non sa spiegarsene il motivo. A nulla valgono le sue
grida, le sue richieste di aiuto o di spiegazioni, la porta di ferro dietro cui
viene rinchiusa rimane inesorabilmente sprangata. Il suo unico contatto con
l’esterno è una piccola fessura da cui di tanto in tanto viene fatta passare
una ciotola, a volte recante cibo, altre contenuti indicibili o messaggi
enigmatici.
Per il resto Angie è sola… o quanto
meno presume di esserlo, senza esserne davvero sicura. Alle sue spalle, in
realtà, avverte sinistre presenze, sebbene non osi voltarsi a guardare.
È una situazione quasi kafkiana,
decisamente asfissiante a mettere in moto gli ingranaggi di questa novella che
si sviluppa come un horror psicologico, sospeso fra realtà e allucinazione.
La deprivazione sensoriale, fatta
eccezione per piccoli sprazzi di luce offerti da una finestrella
irraggiungibile e il rumore prodotto dal moto del mare; la solitudine,
interrotta unicamente dalla fastidiosa sensazione di presenze nascoste nel buio
e da terrificanti visioni; l’impossibilità di misurare il tempo, se non
contando le onde; la completa ignoranza di quel che potrà accadere e nello
stesso tempo la certezza che sarà comunque qualcosa di orribile. Sono questi i
mattoni con cui l’autore edifica una storia dalle atmosfere oniriche e
intimistiche; una storia in cui l’orrore di situazioni raccapriccianti e
descrizioni brutali che non lasciano nulla all’immaginazione, si fonde con
quello più impalpabile legato all’incombere dell’ignoto, al materializzarsi di
ricordi per nulla rassicuranti, al dolore derivante dalla certezza di non
essere amati da nessuno e di non avere alcuna possibilità di appello.
A dispetto della sua apparente
staticità, il putridarium è un luogo
dinamico, in cui tante cose accadono e altrettante prendono forma. Un corvo con
un occhio solo, una colomba dal becco affilato, mani fantasma che frugano
ovunque… persino una bambola che pare materializzarsi dal passato, sono solo
alcune delle presenze che pian piano cominciano a muoversi e a popolare i
giorni di prigionia di Angie. Presenze reali o immaginarie? È una domanda,
questa, per cui non vi è risposta definitiva. La sospensione in una bolla in
cui è difficile distinguere ciò che realmente si verifica dai frutti di una
mente messa a dura prova da una condizione estrema è una delle caratteristiche
principali – nonché uno dei più grandi punti di forza – di questo racconto.
Mettendo in fila frasi dal forte
potere evocativo e l’impronta poetica, Di Orazio fa leva sui sensi, producendo
macabre quanto efficaci sinestesie, che ci calano letteralmente nei panni della
protagonista, ricoprendoci con il mantello della sua angoscia. Leggendo ci si
sente davvero in trappola con lei, si ha l’impressione di respirare i miasmi
del putridarium, di scorgere la
pallida luce che raramente filtra dalla finestra, di udire il richiamo del mare,
di percepire il dolore fisico e psichico causato dalle torture subite (alcune
mi sono rimaste così impresse che continuo a ripercorrerle con la mente anche a
distanza di giorni). È un po’ come percorrere con la novizia il cammino di
espiazione cui viene condannata, fino a raggiungere la comprensione di tutto,
la verità che si cela dietro un simile carosello degli orrori. Tutto ciò che
all’inizio appare inspiegabile e confuso gradualmente assume un significato;
ogni singola sfumatura trova il suo posto in un disegno finale che ha il potere
di sorprendere. Fra i tanti pregi di questa novella vi è infatti anche quello
di sfociare in un epilogo originale e assolutamente imprevedibile.
Non meno potente, pur nella sua
brevità, è Acque sinistre, il
racconto breve incluso nella pubblicazione, inedito in italiano ma già incluso
in versione inglese nella racconta The beauty of Death II. Qui si cambia
ambientazione e tematica, anche se la componente psicologica continua a giocare
un ruolo decisivo. Elaborando una trama intrigante e ricca di mistero, l’autore
affronta in modo mirabile proprio il tema della psicosi, facendoci compiere un
salto nell’orrore di alcune pratiche mediche in voga negli anni passati (ma mai
del tutto abbandonate) e ponendoci nel contempo un inquietante interrogativo:
siamo sicuri che chi viene bollato come pazzo e trattato di conseguenza sia
davvero tale? E se i presunti sintomi clinici fossero, invece, il segno si
qualcosa di diverso, magari di una maggiore sensibilità o della capacità di
entrare in contatto sul serio con un’altra dimensione?
Una lettura terrificante e
coinvolgente sul piano emotivo, di quelle che strizzano lo stomaco e
trasmettono un certo senso di disagio che non svanisce con l’ultima pagina.
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