Review Party: Lo chiamavano Gladiatore di Andrea Frediani e Massimo Lugli
Buongiorno cari follower,
oggi vi proponiamo un nuovo Review Party,
dedicato a Lo chiamavano Gladiatore di Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton
Compton).
Un insolito thriller storico che, oltre a
tenervi con il fiato sospeso, vi stupirà.
Titolo: Lo chiamavano Gladiatore
Autori: Andrea Frediani, Massimo Lugli
Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo ebook: 2,99
Prezzo cartaceo: 10,00
Descrizione:
Roma, I secolo d.C., sotto l'imperatore
Tito.
Aurelio fa fallire l’impresa che gli ha
lasciato il padre e, minacciato dagli usurai, è costretto a farsi schiavo per i
troppi debiti. Finisce così in una scuola di gladiatori: ha talento nell’arena,
ma deve fronteggiare la rivalità dei compagni. Un aiuto gli arriva da Clovia,
una donna senza scrupoli che, grazie a una misteriosa pozione, ha trovato il
modo per potenziare le doti atletiche dei combattenti su cui scommette…
Roma, giorni nostri.
Valerio si è innamorato di una prostituta
ed è determinato a liberarla dai suoi protettori. Da quando è finito sul
lastrico, rovinato dal suo socio in affari, però, non ha più un soldo e l’unica
sua fonte di guadagno sono i combattimenti clandestini di arti marziali. Per
sopravvivere in quel mondo spietato, sarà costretto a ricorrere a soluzioni più
estreme…
E questo, per quanto strano possa
apparire, legherà il destino di Valerio a quello di Aurelio, vissuto duemila anni
prima. Per entrambi i combattenti, dietro l’angolo si nasconde l’insidia che
potrebbe distruggere le loro vite.
La recensione di Miriam:
Due uomini sul lastrico sono i
protagonisti dell’originalissimo romanzo firmato da Andrea Frediani e Massimo
Lugli. Gli sventurati non sono soci e nemmeno si conoscono, del resto non
potrebbero giacché Aurelio Cecina vive nel I secolo d.C e Valerio Mattei è un
nostro contemporaneo. In comune hanno il fallimento, una montagna di debiti che
non sanno come ripagare e l’urgenza di trovare una via d’uscita da una
situazione che li sta annientando. Questo è il sottilissimo ma robusto filo che
gli autori utilizzano per creare un collegamento fra due storie dislocate nel
tempo, che potrebbero benissimo reggersi anche autonomamente. Lo chiamavano Gladiatore, in effetti, si
offre al lettore come un insolito contenitore letterario in cui trovano spazio
due trame, all’apparenza indipendenti. L’accostamento, tuttavia, non è casuale
né tantomeno forzato, anzi rappresenta la cifra distintiva e anche il punto di
forza dell’opera, poiché genera un risultato davvero interessante. La vicenda
di Aurelio e quella di Valerio si inseriscono in un ideale gioco di specchi,
l’una sembra riflettere l’altra, deformandola attraverso la lente del tempo. Si
parte da uno stesso incipit, il disastro economico, per poi assistere a un
duplice sviluppo del plot, l’uno collocato nell’Antica Roma e l’altro ai giorni
nostri.
Nonostante il divario di secoli, i due
protagonisti compiono un percorso simile, nel tentativo di garantirsi la
risalita. Aurelio si consegna a un lanista e decide di diventare gladiatore,
sperando di ripagare i suoi debiti e ricomprarsi poi la libertà attraverso le
vittorie nell’arena. Valerio, appassionato ed ex praticante di arti marziali,
si invischia nel giro dei combattimenti clandestini, contando di risollevare
così le sue sorti economiche.
Nell’uno e nell’altro caso si tratta di
due soggetti che si improvvisano, che si lanciano in un mondo a loro
sconosciuto, con tanto coraggio ma anche un pizzico di incoscienza, forse
sottovalutando i pericoli cui vanno incontro o sopravvalutando le proprie
capacità.
Entrambi si ritroveranno catapultati
all’inferno. Aurelio dovrà fare i conti con la durezza degli allenamenti cui
non è abituato, con le regole impietose e le privazioni che la vita nel ludus
comporta, ma anche con l’ostilità degli altri gladiatori che lo considerano un
intruso, e reputano quasi un affronto il fatto che abbia rinunciato
volontariamente alla libertà per combattere, giacché loro la inseguono come il
bene più grande.
Valerio si ritroverà, invece, nelle
grinfie un boss malavitoso e da lì letteralmente gettato su un ring che, in
barba a tutti i principi e ai valori su cui si reggono le arti marziali
classiche, non riconosce regole e non ammette limiti: un autentico carnaio in
cui ci si picchia senza pietà, spesso fino all’ultimo respiro.
In un certo senso, il contesto in cui
viene catapultato Valerio è il corrispettivo moderno dei giochi gladiatori, una
sorta di trasposizione nel presente di qualcosa che siamo soliti associare a un’epoca
ormai remota. La sensazione che se ne ricava è proprio quella di un passato che
non è rimasto confinato indietro ma ha attraversato la storia, trasformandosi e
riattualizzandosi.
Altro elemento ad accomunare i due
protagonisti sono le figure femminili, sia per Aurelio che per Valerio ci sarà
una donna a segnare un importante punto di svolta nella vicenda. Per il primo
si tratterà di una matrona, Clovia Materna, che lo prenderà sotto la propria
ala (protettiva?) decidendo di farne il suo campione allo scopo di arricchirsi;
per il secondo sarà una prostituta, Helena, di cui si innamorerà perdutamente e
che gli fornirà un ulteriore scopo per cui combattere: guadagnare anche la sua
libertà.
Entrambi si imbatteranno in un’antica
leggenda celtica che sembrerà mostrare loro una via d’uscita, a un certo punto
però le loro strade virtuali si separeranno per consegnarci due epiloghi
radicalmente diversi ̶ per altro tali da soddisfare anche gusti
contrastanti.
Utilizzando due registri linguistici
differenti, che ben si adattano ai periodi storici di riferimento, e tenendoci
sulle spine con un ritmo incalzante, Frediani e Lugli ci garantiscono una
lettura ricca di pathos e suspense, tale da tenerci inchiodati alla pagina. Uno
dei thriller storici più innovativi che mi sia mai capitato di leggere, un
esperimento ardito che a mio avviso colpisce nel segno, veicolando nel contempo
un messaggio intramontabile: difficilmente un successo autentico e duraturo ammette
facili scorciatoie.
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