Recensione: Selfie
Titolo: Selfie
Autore: Jussi Adler- Olsen
Editore: Marsilio
Pagine: 528
Prezzo: 19,00
Descrizione:
Ai piani alti della polizia di Copenaghen ci si lamenta
dello scarso rendimento della Sezione Q. Il compito di difenderla dalle accuse
è affidato a Rose, ma l’assistente di Carl Mørck sta affondando nei ricordi di
un drammatico episodio del suo passato. Intanto, in un parco di Copenaghen
viene ritrovato il cadavere di un’anziana signora, mentre qualcuno al volante
di un’auto in corsa si lancia all’inseguimento di una ragazza.
Carl, il fido Assad e una Rose a mezzo servizio, impegnati
in un nuovo cold case di difficile soluzione, dovranno lottare per impedire che
la Sezione Q venga smantellata e per porre fine alla serie di crimini che sta
scuotendo Copenaghen.
L'autore:
Jussi Adler-Olsen (Copenaghen 1950), giornalista, ha
esordito con la serie della «Sezione Q» guidata da Carl Mørck nel 2007, ed è
uno degli autori danesi di gialli più venduti nel mondo, al vertice delle
classifiche tedesche per più di tre anni consecutivi. I suoi libri, tradotti in
42 paesi, hanno conseguito importanti riconoscimenti internazionali, tra cui il
Glass Key (il premio per la letteratura di genere più importante della
Scandinavia) lo statunitense Barry Award, il Premio Harald Mogensen per il
miglior thriller danese, il Deutscher Krimipreise, il Gyldne Laurbær (il più
prestigioso riconoscimento letterario all'opera di un autore in Danimarca). In
Italia Marsilio
ha pubblicato La donna in gabbia (2011), Battuta di caccia
(2012), Il messaggio nella bottiglia (2013), Paziente 64 (2014), L'effetto
farfalla (2015) e La promessa (2016).
La recensione di Miriam:
Il caso, a volte, traccia disegni improbabili, intrecciando accadimenti,
vite e destini in modo inimmaginabile.
Tre ragazze alla moda, belle sfrontate e bramose di soldi
facili; tre giovani scaltre pronte a sfruttare gli uomini e a truffare i
servizi sociali danesi per garantirsi il benessere, eludendo la fatica.
Un’assistente sociale disgustata dai parassiti della società
con cui deve confrontarsi ogni giorno; una donna che, dopo aver ricevuto una diagnosi che
suona come una condanna, capisce di non aver più niente da perdere e decide che
è giunto il momento di ricorrere alla giustizia fai da te.
Una serie di incidenti sospetti.
Una rapina finita male.
Una squadra di polizia schiacciata da pesanti accuse di
insuccesso.
Una poliziotta che forse potrebbe assemblare i pezzi di un
puzzle all’apparenza privo di senso ma messa fuori combattimento da un grave
disturbo psichico.
Sono questi i fatti e i personaggi che si incrociano in una
storia di ordinaria follia, una storia che, seguendo lo schema tipico del
thriller, parla di una serie di omicidi da risolvere ma nello stesso tempo
infrange ogni stereotipo e scompagina le regole, facendo saltare i ruoli e il
confine che dovrebbe separare il crimine dalla giustizia.
Jussi Adler-Olsen confeziona una trama destabilizzante,
dalla struttura quasi labirintica. Le morti che si susseguono, inizialmente,
fanno pensare al classico serial killer, ma andando avanti ci si rende conto
che non sono riconducibili alla stessa mano. L’autore innesca una sorta di
gioco perverso in cui diversi assassini agiscono, spinti da moventi opposti, ma
che per uno strano scherzo del destino finiscono per interferire l’uno con
l’altro confluendo in un unico assurdo mosaico di violenza. Questo aspetto
rappresenta, nel contempo, il maggior punto di forza e di debolezza dell’opera:
il bizzarro intreccio di coincidenze la rende, infatti, unica nel suo genere,
decretandone l’originalità e incollandoci alla pagina, ma a tratti diventa
eccessivo suggerendo l’impressione di una forzatura che ne indebolisce un po’
il realismo.
In alcuni momenti si ha la sensazione di essere finiti in un
microcosmo delirante affollato di schegge impazzite, forse troppe perché la
combinazione risulti credibile, ma di certo tali da garantire l’assoluta
imprevedibilità nello sviluppo della trama che, di fatto, riesce a sorprendere
fino alle battute finali.
Solitamente, leggendo un giallo ci si chiede chi sia il
colpevole. In questo caso la domanda che ci assilla è, invece: chi sono le
vittime e chi i colpevoli? Stabilirlo è davvero difficile poiché ciascun
personaggio ha un bagaglio di sofferenza alle spalle – reso peraltro da
un’ottima caratterizzazione psicologica –, un vissuto complicato che lo rende
vittima e carnefice allo stesso tempo.
Un selfie è l’indizio da cui gli investigatori partono per
collegare fatti e persone e iniziare a sbrogliare la matassa, ma come un selfie
si propone il romanzo stesso, nella misura in cui ci offre l’autoscatto di una
generazione allo sbando (quella rappresentata dalle tre ragazze), ma anche di
un sistema che fallisce nel proteggere i più deboli e aiutarli a integrarsi
nella società.
Il ritmo serrato, lo stile fluido, l’ironia che spesso
caratterizza i dialoghi – soprattutto quelli fra i due investigatori Carl e
Assad, fanno sì che le pagine scorrano con molta rapidità.
Un thriller inconsueto, avvince e stupisce trascinandoci in
un vortice di suspense e follia in cui nulla è dato per scontato.
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