Buongiorno cari follower,
oggi siete invitati al Review Party dedicato a Il criminale di Massimo Lugli (Newton Compton), un thriller adrenalinico e commovente.
Titolo: Il criminale
Autore: Massimo Lugli
Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo ebook: 2,99
Prezzo cartaceo: 9,90
Descrizione:
Consiglio Spada, detto “Sbrego”, finisce nei guai il giorno
stesso in cui lascia l’istituto minorile. Per nulla intenzionato a tornare
dalla sua famiglia di giostrai, inizia a condurre una vita randagia, ma i
problemi non tardano ad arrivare: coinvolto suo malgrado in una rapina, è
costretto a scappare e da quel momento gli capita di tutto. Dopo un incontro
fortuito in treno, finisce in una comunità hippy nei boschi della Toscana.
Impara a cacciare con l’arco e a vivere senza luce, acqua, gas. Abbandonata la
comune, raggiunge Genova ed entra in un piccolo giro di malavita, ma dopo una
rapina andata male, deve darsi di nuovo alla fuga. La sua vita cambia
improvvisamente quando incontra Zoe, una ragazza affascinante, imprevedibile e
contraddittoria che nasconde un passato inquietante. L’amore tra i due giovani
allo sbando si consuma tra giacigli improvvisati, alberghi, furti e
inseguimenti. Finché Sbrego e Zoe non diventano la coppia più ricercata
d’Italia. Ma l’escalation di violenza di cui sono protagonisti non potrà che
finire in tragedia…
La recensione di Miriam:
Una lettera dal carcere, scritta in un italiano stentato,
viene recapitata a un editore insieme a un manoscritto. A inviarla è il
detenuto Gesuino Sanna, mentre l’autore del memoriale è il suo ex compagno di
cella, l’ergastolano Consiglio Spada, appena
morto suicida.
Questo l’espediente narrativo con cui si apre Il Criminale. Quello che segue è il
racconto in prima persona del protagonista che ripercorre le tappe salienti
della sua vita, breve ma avventurosa.
Consiglio, conosciuto da tutto come Sbrego per via di una
cicatrice che gli attraversa il viso, è un sinti. Figlio di un giostraio, sin
da piccolo viene abituato a una vita nomade. Elemosinare e compiere piccoli
furti sono le attività a cui lo addestra il padre a suon di botte, sicché,
prima ancor di compiere la maggiore età, il ragazzo si ritrova a scontare una
pena in riformatorio. Uscito dall’istituto alla vigilia dei suoi diciotto anni,
Sbrego si rifiuta di tornare a casa, così sale sul primo treno disponibile e
fugge. È l’inizio di un viaggio rocambolesco, di un’avventura che si snoderà per effetto di un’imprevedibile
reazione a catena. Desideroso di
allontanarsi dalla famiglia e da un contesto sociale in cui non si è mai
sentito a suo agio, il giovane si lascia sedurre dai racconti di uno strano
tipo incontrato per caso, che sostiene di essere un Elfo e narra di una
misteriosa comunità sperduta nei boschi toscani. Gran Burrone, questo il nome
del luogo segreto, sembra un posto fiabesco, privo di regole, prigioni,
discriminazioni, una sorta di paradiso agli occhi di Sbrego che, colto
dall’entusiasmo, si prefigge di raggiungerlo. Finisce così in una comunità
hippy in cui trascorre un periodo relativamente sereno, imparando a tirare con
l’arco, a vivere in simbiosi con la natura facendo a meno dell’elettricità e di
qualsiasi ritrovato tecnologico, condividendo tutto con tutti in una specie di
idillio comunista. Qui Sbrego ha anche un piccolo assaggio di quello che
potrebbe essere l’amore, ma il suo animo irrequieto gli impedisce di trovar
pace. Un colpo di testa lo induce a compiere un atto terribile e lo pone in fuga.
Di nuovo in viaggio per sottrarsi alle proprie responsabilità, il giovane
finisce a Genova ed entra in contatto con la malavita locale.
Da questo punto in poi la sua esperienza è un’escalation di
violenza. Il primo errore ne genera altri, il bisogno impellente di procurarsi
soldi in maniera rapida, l’esigenza di restare nell’ombra per non essere
riconosciuto e accusato di un crimine effettivamente commesso allontano sempre
più Sbrego dalla retta via. L’ipotesi di costruirsi una vita onesta, di giorno
in giorno, assume i contorni sfocati di un’utopia. Il richiamo della strada è
forte, l’istinto di sopravvivenza anche.
Sullo sfondo di un’Italia a cavallo fra gli anni Settanta e
Ottanta, mentre il timore delle Brigate Rosse incombe e la camorra di Cutolo
mette radici, vediamo un ragazzino dal background difficile trasformarsi in un
vero e proprio criminale. Lungo il suo percorso che di fuga in fuga, lo porta a
percorrere lo stivale da Nord a Sud, giungendo fino a Napoli, Sbrego incontra
svariati personaggi, complici, nemici, persone che lo aiutano e altre che lo
ostacolano ma è l’incontro con una ragazza, Zoe, a dare una svolta alla sua
vita. L’amore non lo redime, non gli fa cambiare rotta – l’autore non concede
spazio alle favole restando ben piantato con i piedi per terra – ma interrompe
la sua solitudine. Zoe s’innamora di Sbrego e decide di restare al suo fianco
condividendo tutto con lui. Quasi due novelli Bonnie e Clyde – così li
ribattezzerà la stessa stampa – i due
ragazzi faranno coppia anche in affari, facendo terra bruciata attorno a sé.
Zoe, a differenza di Sbrego, non viene dalla strada, è
figlia di genitori benestanti ma nondimeno ha trascorsi di violenza alle spalle
e il desiderio di evadere da una realtà che le sta stretta.
Entrambi si riconoscono reciprocamente come anime affini e
insieme provano a dar corpo a un sogno. Ad animarli non sono intenti criminali,
i due giovani sognano semplicemente di raggranellare un gruzzolo che possa
consentire loro di partire per una meta lontana e ricominciare, ma sono
costretti sin da subito a scontrarsi con la dura realtà. Il punto è che una
volta messo un piede nel fango della malavita, ti risucchia sul fondo al pari
delle sabbie mobili e non è facile
uscirne.
Con uno stile tagliente, ammaliante, crudo, Massimo Lugli ci
trascina nel vortice della criminalità raccontandoci con vibrante realismo la
storia di una gioventù bruciata.
Sbrego si macchia di crimini atroci, non è ingenuo e non è
innocente – del resto per lui non ci saranno sconti di pena – tuttavia leggendo
il suo racconto non si può fare ameno di
provare un moto di empatia. Di certo le sue scelte non sono giustificabili, ma la
sua esperienza insinua il piccolo dubbio che non sia il solo colpevole della
situazione. Come molti ragazzi che cadono nella rete della malavita, Sbrego è
il frutto marcio di una società – e prima
ancora di un nucleo familiare – che non ha saputo educarlo, proteggerlo, accoglierlo,
offrendogli la possibilità di un futuro migliore.
Un romanzo adrenalinico e commovente, ci tiene con il fiato
sospeso per poi lasciarci con un groppo in gola su un finale inevitabilmente
tragico ma nondimeno attraversato da una sottile quanto tagliente vena
d’ironia.
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