venerdì 15 gennaio 2016

Recensione: Oscure Regioni II

Titolo: Oscure Regioni. Racconti dell'orrore.
Volume II
Autore: Luigi Musolino
Editore: Wild Boar
Pagine: 162
Prezzo: 12 euro

Descrizione:
Oscure Regioni è un progetto editoriale in due libri, usciti a un anno di distanza, nel 2014 e 2015.
Il secondo volume propone, fra gli altri, “Il Carnevale dell’Uomo Cervo”, racconto ispirato all’omonima festa popolare molisana, vincitore del XVIII Trofeo RiLL e pubblicato anche all’estero, sulle pagine della rivista irlandese Albedo One (numero 45, settembre 2014, con titolo “The Stag”). Inoltre, il racconto “Intersezioni” è stato fra i finalisti del premio Algernon Blackwood per racconti horror, bandito da Delos Books.



La recensione di Miriam:
Con Oscure Regioni II si conclude il percorso immaginario, tracciato da Luigi Musolino, e che esplora i lati più bui e misteriosi della nostra Italia. Una nuova carrellata di dieci racconti copre le regioni rimaste inesplorate nel volume precedente. Cambiano i paesaggi – questa volta ci muoviamo essenzialmente nel centro-nord  – cambiano i dialetti, le architetture, i profumi, i colori, e cambiano anche le leggende che si tramandano di bocca in bocca, ma il senso di inquietudine che attraversa l’intero blocco narrativo rimane lo stesso. È sempre horror, infatti, il taglio scelto dall’autore per rivisitare i vecchi miti. Che si parli di nani, mutaforma, animali magici o strani abitanti dei boschi, il loro incontro con gli uomini qui non origina mai una favola a lieto fine, ma si rivela sempre foriero di sventure o rappresenta l’inizio di un incubo. In queste pagine il mito acquisisce una forte connotazione dark; si propone  come specchio deformante delle paure dell’essere umano, ma anche dei suoi difetti e delle sue colpe, svolgendo in diverse occasioni la funzione di un monito. Non sono le creature fantastiche in sé a essere maligne, non sono i luoghi maledetti a prescindere ma, spesso, è il modo in cui l’uomo si rapporta a essi a scatenare reazioni temibili. È quel che accade, per esempio,  ne Le Abominations des Altitudes, in cui il male si risveglia quando l’essere umano sfida le montagne e,  per sete di curiosità e conquista, ruba un uovo di Dahuì rompendo un delicato equilibrio. Uno schema simile si replica ne Il carnevale dell’Uomo Cervo (racconto vincitore del Trofeo Rill, che avevamo già avuto modo di apprezzare nell’omonima antologia), laddove una creatura mitologica, Gl’Cierv appunto, dissemina terrore e morte per difendersi da chi gli dà la caccia, non negando la sua benevolenza a chi, al contrario, sceglie di schierarsi dalla sua parte, salvandolo dall’estinzione.
In racconti come questi il mito diviene metafora del rapporto uomo-natura, del conflitto fra vecchio e nuovo. Il mostro si fa portavoce della Terra che si ribella all’intervento invasivo e distruttivo dell’essere umano, di una spiritualità ormai dimenticata alla cui base c’era il rispetto per l’ambiente che ci circonda.
In altri casi la creatura fantastica si propone come una rappresentazione del diverso, dell’emarginato dalla società che, stanco di subire soprusi, mette in atto un suo piano di vendetta personale. In Nato con la camicia, per esempio, il nano Yari sfrutta la magia dei fulmini per punire chi lo ha maltrattato. In Smeraldo, un Homo Saurus diviene oggetto di una spietata caccia al mostro e, finisce per diventarlo davvero, ma solo a scopo difensivo – la stessa creatura considerata letale da molti è, infatti,  in grado di fare amicizia con una bambina che non lo teme e non lo considera un abominio, aiutandola  addirittura a sconfiggere la sua solitudine. In A caccia,  Rocco finisce nelle grinfie di un Dupi Minaro (Lupo Mannaro della Basilicata) che si propone un po’ come la personificazione di un senso di colpa, giacché intende punirlo in modo esemplare per aver tradito un amico. In Soltanto una povera vecchia, siamo infine spettatori di un orrore reale: le tristissime condizioni  in cui versano alcuni anziani, costretti a trascorre gli ultimi anni di vita in un ospizio; sarà su questo sfondo desolante quanto poco fantastico che una bagiuà (strega nella tradizione ligure) tornerà dal regno dei morti per vendicarsi dei torti subiti.
In Vagiti e in Intersezioni, invece, il mito diviene una sorta di contenitore in cui l’uomo  proietta le sue personali paure. Nel primo racconto Marco, che sta per diventare padre, vede risvegliarsi il vecchio mostro che lo ha terrorizzato durante l’infanzia, la Marroca, che abita le fogne e si ciba delle anime dei neonati; nel secondo, Franco Butieri, imprenditore sul lastrico, incontra gli gnefri – una sorta di rappresentazione grottesca della sua stessa paura di morire – dopo essersi sparato un colpo di pistola.
Casi “unici” possono essere considerati Febbre e Un selvaggio.  Il primo dei due racconti è la riproduzione in chiave horror di un ciclo naturale: l’estate deve morire per poter poi rinascere e per farlo richiede un tributo di sangue. Non ci sono vendette, né cattiverie, né paure ancestrali che affiorano, ma solo la cinica spietatezza del cerchio della vita.
Il secondo ci mostra un orrore concreto e molto familiare: quello della routine e dei ritmi frenetici cui la vita moderna ci sottopone. Ernesto Musi si sente annichilito dalla ripetitività del lavoro di ufficio, dal tempo che si dilata e non sembra passare mai, dal grigiore dell’ufficio in cui è confinato per la gran parte della sua giornata. Il mostro che si risveglia in questo contesto, l’Om Pelos, non è che l’esplosione materiale del suo senso di ribellione, una manifestazione che sicuramente fa paura ma, vi garantisco, ha in sé anche qualcosa di liberatorio.
Ancora una volta è un itinerario  inquietate, affascinante, illuminante quello tracciato da Luigi Musolino; la degna conclusione di un interessantissimo viaggio alla scoperta di aspetti inediti del nostro territorio e del nostro folklore, imperdibile per gli appassionati del genere.

E per saperne di più...
Leggi la  nostra recensione di Oscure Regioni I




 

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