domenica 13 maggio 2018

Recensione: Delitto nel campo di girasoli

Titolo: Delitto nel campo di girasoli
Autore: Marzia Elisabetta POlacco
Editore: Newton Compton
Pagine: 320
Prezzo ebook: 0,99
Prezzo cartaceo: 9,90

Descrizione:
Borghereto, sonnolento paesino dell’Umbria, ha poco da offrire a chi è in cerca di avventura. Così Leyla, una ragazzina con una passione smodata per il mistero e i libri gialli, passa il tempo scorrazzando in bicicletta per le campagne assolate. Finché una mattina, fra i campi di girasoli, trova il corpo senza vita di una bambina. Leyla si sente improvvisamente catapultata in una delle storie dei suoi libri, tanto più che il caso è affidato proprio a sua madre, il vice commissario di polizia Mirella Vergari. I primi sospetti sembrano subito convergere su un anziano del posto, un uomo scontroso e solitario, detto lo “Strambo”, con pesanti precedenti penali. Il superiore della Vergari, il commissario Pantasileo, spinge per chiudere rapidamente il caso incriminando il vecchio, ma Mirella non è convinta della sua colpevolezza e si ostina a indagare, coinvolgendo negli interrogatori anche altre insospettabili figure del paese. Tutti, a quanto pare, hanno qualche segreto da nascondere… E mentre cerca di tenere a bada la voglia della figlia di intrufolarsi nelle indagini, sarà proprio il suo fiuto a fornirle la chiave per arrivare alla verità…

La recensione di Miriam:
Immerso nel verde dell’Umbria, Borghereto è un paesino tranquillo, popolato da poche anime. La sua vita scorre tranquilla, senza grandi sorprese né particolari scossoni, fino a che la scoperta di un cadavere nel bosco non la sconvolge, nel modo peggiore. La vittima è Beatrice Marra, di soli dodici anni, e a ritrovare il corpo è Leyla Praisad, sua coetanea, nonché figlia del vicecommissario Mirella Vergari, cui viene affidato il caso.
Una bella gatta da pelare per la giovane poliziotta, per nulla abituata a confrontarsi con crimini di simile entità, e costretta a intensificare i suoi turni di lavoro nel momento meno opportuno: per Leyla sono appena cominciate le vacanze estive e la nonna, che solitamente si prende cura di lei durante l’estate, è stata ricoverata per un malessere improvviso.
Di tutt’altro avviso è, invece, la ragazzina, grande appassionata di gialli – tanto da aver battezzato Miss Marple persino la sua bicicletta. Lungi dal rimanere sconvolta dalla vista del cadavere o spaventata dall’accaduto, sente di avere finalmente l’occasione di mettere alla prova le sue doti investigative, affiancando la mamma in quella che potrebbe essere l’avventura più eccitante della sua vita.
Se state pensando che si tratti solo di un sogno infantile, giacché è impensabile che un minorenne affianchi un commissario mentre investiga su un delitto, preparatevi a rimanere sorpresi, perché in questo libro le cose vanno diversamente ed è proprio questo particolare a renderlo unico nel suo genere. Non sapendo a chi affidare la figlia, Mirella, infatti, la porta con sé quando va al lavoro. Di volta in volta il programma è che se ne resti buona in ufficio, in macchina, o in compagnia di qualche agente in servizio, ma Leyla non è esattamente una bimba ubbidiente, e il richiamo del giallo per lei è troppo forte. Non appena gli adulti si distraggono, lei sgattaiola, si nasconde, spia… ficca il naso dove non dovrebbe, origlia, s’intromette e, alla fine della partita, finisce per svolgere un ruolo molto attivo nella risoluzione del caso.
Questa peculiarità rende il romanzo molto originale e, a dispetto del genere e della tematica abbastanza forte, gli conferisce anche una certa ventata di leggerezza. Leyla è una ragazzina decisamente sopra le righe, si approccia al caso con grande intelligenza e una certa competenza – forse troppa per la sua età – ma anche con un entusiasmo tipicamente infantile, che la spinge a scherzare, a sdrammatizzare, seppure inconsapevolmente, a esibirsi in battute e trovate che, nonostante tutto, finiscono per strapparci un sorriso. Sebbene appaia molto più matura dei suoi coetanei, in fin dei conti, lei vive tutto come fosse un gioco, quasi non si rendesse conto che una ragazzina è morta davvero e che, forse, lei avrebbe potuto essere al suo posto.
La sua personalità prorompente e le sue peripezie divengono il vero centro di interesse. L’omicidio su cui si indaga è sicuramente interessante e rappresenta un bel rompicapo, tale da mettere in difficoltà chi ricerca il colpevole e mostrare tutte le carte in regola per soddisfare gli appassionati del genere; tuttavia, è la giovane provetta investigatrice a conquistare la scena.
Confesso di essermi innamorata di Leyla e di essere rimasta intrigata dall’idea di questa piccola   detective, anche se penso che possa rappresentare un po’ un’arma a doppio taglio, rivelandosi al tempo stesso il maggior punto di forza e di debolezza dell’opera. Per quanto affascinante e divertente nel suo ruolo, manca infatti di credibilità, finendo per togliere verosimiglianza alla storia. In alcuni punti penso inoltre che l’autrice abbia calcato un po’ troppo la mano, accentuando questa impressione: spesso Leyla appare decisamente più arguta, più preparata e intraprendente degli adulti che al suo confronto, a volte, risultano quasi dei pivellini, come se i ruoli fossero completamente ribaltati.
Occorre sospendere l’incredulità e mettere da parte il modo in cui le cose vanno nella vita reale per apprezzare la lettura, ma ritengo che ne valga assolutamente la pena, perché se si entra in quest’ottica il divertimento è assicurato. A rincarare la dose c’è poi un gruppetto di personaggi davvero deliziosi che a intervalli irregolari commentano gli accadimenti nel dialetto tipico della zona. Sono gli indimenticabili vecchietti del paese, fra cui spiccano i fratelli Caporetto e Stalingrado, così soprannominati perché sono due cantori di sciagure, e lo Schicchera – lascio scoprire a voi il significato del suo soprannome – schietto e diretto come pochi. Con il loro eloquio colorito, ci offrono una prospettiva in più sugli avvenimenti, a tratti impicciona, spesso impertinente, ma intrisa anche di saggezza popolare.
Meno scanzonato del resto è il finale che ci sorprende con una soluzione inimmaginabile, aprendo invece una piccola finestra sul mondo giovanile e sulla mancanza di valori che sovente lo caratterizza.



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