Recensione: Il quaderno canguro

 
Titolo: Il Quaderno Canguro  
Autore: Abe Kōbō 
Editore: Atmosphere Libri 
Pagine: 210 
Prezzo: 12,75

Descrizione: 
Un comune impiegato si risveglia una mattina con le gambe ricoperte da germogli di ravanello giapponese, il daikon. In preda al panico, si rivolge a una clinica dermatologica, dove viene operato d'urgenza da una misteriosa equipe medica. Mentre è ancora sotto anestesia, decidono di trasferirlo in un limbo al confine tra i due mondi… Il malcapitato protagonista inizia così il suo incredibile viaggio nel sottosuolo, a bordo di un avveniristico lettino d'ospedale in grado di essere mosso dalla forza del pensiero. Presto giungerà sulle rive del Sanzu, il fiume dell'inferno buddhista, in un mondo popolato da personaggi enigmatici e grotteschi dove risuonano le note di inni sacri e di brani dei Pink Floyd: la sexy infermiera Libellula, il giovane americano esperto di arti marziali Hammer the Killer, il circo dei demoni bambini, i custodi delle terme della Valle Infernale e molti altri. Cercando di risolvere il mistero di cui è vittima, il protagonista lotta per la salvezza, sospeso tra la vita e la morte.
 
L'autore:   
Abe Kōbō è stato uno scrittore giapponese (Tōkyō 1924-1993). Raggiunse la notorietà nel 1951 con il romanzo Il muro, che rivelò immediatamente il suo eccezionale talento e la sua propensione per il racconto allegorico e satirico di sapore surreale. I temi principali sviluppati da Abe nelle proprie opere sono la fondamentale irrazionalità della vita moderna, l'isolamento dell'individuo e l'impossibilità di capire e farsi capire dal prossimo. Tra le sue opere più note: i romanzi La donna di sabbia(1964), Il volto dell'altro (1964), La mappa bruciata (1967), i drammi L'uomo che divenne un bastone (1958) e Amici (1967). Dopo aver pubblicato i romanzi L'uomo scatola (1974) e L'incontro segreto (1977), Abe riprese la pubblicazione di novelle (rappresentativa della sua vena simbolico-realistica è L'arca ciliegio, 1984), e un'intensa produzione drammaturgica. Nel 1986 pubblicò Le balene corrono verso la morte, che ottenne vasta risonanza in Giappone e lo confermò come uno degli eredi spirituali di F. Kafka o S. Beckett. Dopo un lungo periodo di silenzio, lo scrittore pubblicò nel 1991 il suo ultimo romanzo, Il quaderno canguro (Kangarū nōto), che sviluppa uno dei temi a lui più cari, quello dell'uomo trasformato progressivamente in un oggetto o in un vegetale, vittima dell'ambiente che lo circonda e che gli nega ogni libertà.
 
La recensione di Miriam:
Il mondo onirico è governato da una logica diversa da quella vigente durante la veglia. Il tempo è circolare, non vale il principio di non contraddizione, sono sospese le leggi della fisica. I significati si trasfigurano nei simboli, nella drammatizzazione, nella sublimazione.
Leggere questo libro è come sognare. Come precipitare nella tana del Bianconiglio e ritrovarsi in un  universo del tutto irrazionale.
Viene meno la struttura tipica del testo narrativo, la trama non ha uno svolgimento lineare, si configura piuttosto come un’idea di partenza, un input che determina una sorta di reazione a catena, o sarebbe meglio dire una carrellata di libere associazioni che procedono per immagini. Nello specifico l’idea è quella di una metamorfosi, in stile kafkiano. Il protagonista, una mattina, si sveglia in preda a un fastidioso prurito alle gambe e scopre che dei germogli di daikon (un ortaggio giapponese) stanno crescendo proprio sulla sua pelle. Lui che si trascina in un’esistenza anonima e priva di slanci, che vegeta più che vivere, sembra essere in procinto di trasformarsi sul serio in una pianta. Preoccupato per le sue sorti, si rivolge a una clinica specialistica. Il medico, come prevedibile, non ha risposte, pare più stupito del paziente e lo indirizza alle terme, nella speranza che i bagni sulfurei possano debellare il parassita vegetale. Comincia così un viaggio allucinante, e allucinogeno, che scardina tutti i riferimenti logici. L’uomo si ritrova, infatti, a viaggiare a bordo di un lettino avveniristico che si muove con la forza del pensiero e che lo trasporta nei luoghi più assurdi: dall’ospedale, lungo canali di scolo, da lì alle fogne della città, infestate da strambe imbarcazioni che pescano calamari, fino alle rive del fiume Sanzu che, nella mitologia nipponica,  segna il confine fra il regno dei vivi e quello dei morti. Un’anticamera dell’inferno in cui si aggirano insoliti personaggi,  a cominciare dai demoni bambini – ovvero anime di bimbi mai nati o nati morti – che intonano un coro buddhista mentre impilano sassi nell’intento vano di assurgere al Nirvana.
Il tutto si colloca in un tempo sospeso, indefinito. Non esiste un prima né un dopo, non ci sono riferimenti che possano rimandare a uno scorrere lineare dei giorni, tutto è in contemporanea. In una sequenza ritroviamo il personaggio principale in movimento, verso qualche tappa del suo cammino, in quella dopo lo vediamo steso su un lettino in clinica,  in balìa della sua infermiera Libellula, quasi fosse tornato indietro. Di fatto, il racconto procede a salti, rinunciando a un vero e proprio filo narrativo in favore di un susseguirsi di immagini, a volte anche sconnesse fra loro, proprio come avviene nei sogni.  
Man mano che si procede nella lettura, sempre più si ha la sensazione di essere in un labirinto in movimento, fitto di insidie quanto di simbolismi, che disorienta e nello stesso tempo ci invia una serie di segnali che potrebbero essere colti come chiavi interpretative.
Lo strabiliante viaggio dell’uomo che germoglia, in effetti, potrebbe essere inteso come una sorta di viaggio interiore alla ricerca di una propria identità. L’ipotetica cura alla malattia, qui agognata e inseguita, potrebbe coincidere con un processo di liberazione da un atteggiamento passivo nei confronti della vita, un balzo che dal vegetare conduca appunto a vivere appieno, in maniera più libera, più consapevole. In quest’ottica potrebbe spiegarsi la stessa idea di quaderno canguro che figura nel titolo.  Il misterioso oggetto compare all’inizio. Prima ancora di scoprire la propria malattia, il poveruomo, che è un comune impiegato presso un’azienda che produce materiale di cancelleria, partecipa a una specie di concorso interno alla società per cui lavora. Tutti i dipendenti vengono invitati a proporre una loro idea per realizzare un nuovo prodotto. Lui, non sapendo affatto cosa proporre, spara la prima cosa che gli viene in mente: un quaderno canguro appunto. Il solo pensiero è così bizzarro da suscitare la curiosità del suo capo che lo invita a realizzarne uno.
Poi gli eventi precipitano e l’impiegato viene distratto da problemi più urgenti, ma sta di fatto che la sua incredibile avventura potrebbe rappresentare un esempio vivente di quaderno canguro, una storia fatta di tasche dentro tasche che corrispondono a diversi livelli di significato e potrebbero simboleggiare la progressiva ricerca del senso della vita.
Il binomio vita-morte, tra l’altro, ricorre in svariate sequenze. Non solo ci ritroveremo fisicamente al confine fra il nostro mondo e l’aldilà, ma a un certo punto assisteremo a un acceso dibattito sull’eutanasia.
Il quaderno canguro non è un romanzo di facilissima comprensione, proprio perché scavalca i canoni classici della narrazione, sfidandoci ad accantonare la logica quotidiana e il nostro consueto schema di ragionamento. Tuttavia la lettura risulta scorrevole e assai godibile. Al di là degli esercizi di pensiero tesi alla ricerca di significati nascosti, ci si può lasciare andare e gustarsi semplicemente il viaggio onirico. Leggendo, in effetti, si ha la sensazione di ascoltare qualcuno che ci racconta un sogno e, per quanto non tutto risulti intelligibile, ci si sente ammaliati, incuriositi, colti da genuino stupore, ed è qualcosa che diverte.
Come suggerisce lo stesso autore, basta abbassare le armi della razionalità più inflessibile per godersi l’esperienza.









Commenti

Post popolari in questo blog

Review Party: Il sigillo di Caravaggio

Recensione: Triade di Luca Pivetti

Recensione: La stella di Niamh di Vittorio Maria Pelliccioni