Titolo: Oscure Regioni. Racconti dell'orrore.
Volume II
Autore: Luigi Musolino
Editore: Wild Boar
Pagine: 162
Prezzo: 12 euro
Descrizione:
Oscure Regioni è un progetto editoriale in due libri, usciti a un anno di distanza, nel 2014 e 2015.
Il secondo volume propone, fra gli altri, “Il Carnevale dell’Uomo Cervo”, racconto ispirato all’omonima festa popolare molisana, vincitore del XVIII Trofeo RiLL e pubblicato anche all’estero, sulle pagine della rivista irlandese Albedo One (numero 45, settembre 2014, con titolo “The Stag”). Inoltre, il racconto “Intersezioni” è stato fra i finalisti del premio Algernon Blackwood per racconti horror, bandito da Delos Books.
La recensione di Miriam:
Con Oscure Regioni II si conclude il percorso immaginario, tracciato da Luigi Musolino, e che esplora i lati più bui e misteriosi della nostra Italia. Una nuova carrellata di dieci racconti copre le regioni rimaste inesplorate nel volume precedente. Cambiano i paesaggi – questa volta ci muoviamo essenzialmente nel centro-nord – cambiano i dialetti, le architetture, i profumi, i colori, e cambiano anche le leggende che si tramandano di bocca in bocca, ma il senso di inquietudine che attraversa l’intero blocco narrativo rimane lo stesso. È sempre horror, infatti, il taglio scelto dall’autore per rivisitare i vecchi miti. Che si parli di nani, mutaforma, animali magici o strani abitanti dei boschi, il loro incontro con gli uomini qui non origina mai una favola a lieto fine, ma si rivela sempre foriero di sventure o rappresenta l’inizio di un incubo. In queste pagine il mito acquisisce una forte connotazione dark; si propone come specchio deformante delle paure dell’essere umano, ma anche dei suoi difetti e delle sue colpe, svolgendo in diverse occasioni la funzione di un monito. Non sono le creature fantastiche in sé a essere maligne, non sono i luoghi maledetti a prescindere ma, spesso, è il modo in cui l’uomo si rapporta a essi a scatenare reazioni temibili. È quel che accade, per esempio, ne Le Abominations des Altitudes, in cui il male si risveglia quando l’essere umano sfida le montagne e, per sete di curiosità e conquista, ruba un uovo di Dahuì rompendo un delicato equilibrio. Uno schema simile si replica ne Il carnevale dell’Uomo Cervo (racconto vincitore del Trofeo Rill, che avevamo già avuto modo di apprezzare nell’omonima antologia), laddove una creatura mitologica, Gl’Cierv appunto, dissemina terrore e morte per difendersi da chi gli dà la caccia, non negando la sua benevolenza a chi, al contrario, sceglie di schierarsi dalla sua parte, salvandolo dall’estinzione.
In
racconti come questi il mito diviene metafora del rapporto uomo-natura, del
conflitto fra vecchio e nuovo. Il mostro si
fa portavoce della Terra che si ribella all’intervento invasivo e distruttivo
dell’essere umano, di una spiritualità ormai dimenticata alla cui base c’era il
rispetto per l’ambiente che ci circonda.
In
altri casi la creatura fantastica si propone come una rappresentazione del
diverso, dell’emarginato dalla società che, stanco di subire soprusi, mette in
atto un suo piano di vendetta personale. In Nato
con la camicia, per esempio, il
nano Yari sfrutta la magia dei fulmini per punire chi lo ha maltrattato. In Smeraldo, un Homo Saurus diviene oggetto
di una spietata caccia al mostro e, finisce per diventarlo davvero, ma solo a
scopo difensivo – la stessa creatura considerata letale da molti è,
infatti, in grado di fare amicizia con
una bambina che non lo teme e non lo considera un abominio, aiutandola addirittura a sconfiggere la sua solitudine.
In A caccia, Rocco finisce nelle grinfie di un Dupi Minaro (Lupo Mannaro della
Basilicata) che si propone un po’ come la personificazione di un senso di
colpa, giacché intende punirlo in modo esemplare per aver tradito un amico. In Soltanto una povera vecchia, siamo
infine spettatori di un orrore reale: le tristissime condizioni in cui versano alcuni anziani, costretti a
trascorre gli ultimi anni di vita in un ospizio; sarà su questo sfondo
desolante quanto poco fantastico che una bagiuà
(strega nella tradizione ligure) tornerà dal regno dei morti per vendicarsi dei
torti subiti.
In
Vagiti e in Intersezioni, invece, il mito diviene una sorta di contenitore in
cui l’uomo proietta le sue personali
paure. Nel primo racconto Marco, che sta per diventare padre, vede risvegliarsi
il vecchio mostro che lo ha terrorizzato durante l’infanzia, la Marroca, che abita le fogne e si ciba
delle anime dei neonati; nel secondo, Franco Butieri, imprenditore sul
lastrico, incontra gli gnefri – una
sorta di rappresentazione grottesca della sua stessa paura di morire – dopo
essersi sparato un colpo di pistola.
Casi
“unici” possono essere considerati Febbre
e Un selvaggio. Il primo dei due racconti è la riproduzione
in chiave horror di un ciclo naturale: l’estate deve morire per poter poi
rinascere e per farlo richiede un tributo di sangue. Non ci sono vendette, né
cattiverie, né paure ancestrali che affiorano, ma solo la cinica spietatezza
del cerchio della vita.
Il
secondo ci mostra un orrore concreto e molto familiare: quello della routine e
dei ritmi frenetici cui la vita moderna ci sottopone. Ernesto Musi si sente
annichilito dalla ripetitività del lavoro di ufficio, dal tempo che si dilata e
non sembra passare mai, dal grigiore dell’ufficio in cui è confinato per la
gran parte della sua giornata. Il mostro
che si risveglia in questo contesto, l’Om
Pelos, non è che l’esplosione materiale del suo senso di ribellione, una
manifestazione che sicuramente fa paura ma, vi garantisco, ha in sé anche
qualcosa di liberatorio.
Ancora
una volta è un itinerario inquietate,
affascinante, illuminante quello tracciato da Luigi Musolino; la degna
conclusione di un interessantissimo viaggio alla scoperta di aspetti inediti
del nostro territorio e del nostro folklore, imperdibile per gli appassionati
del genere.
E per saperne di più...
Leggi la nostra recensione di Oscure Regioni I
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