giovedì 6 giugno 2013

"Non mi uccise la morte"



Il caso Cucchi si chiude oggi, la sentenza è stata emessa e, ciò che ci dicono è che Stefano è morto per inanizione. I carabinieri sono stati scagionati, anche questa volta nessuno pagherà.
Nonostante tutto, noi continuiamo a credere che la storia sia un po’ diversa, che qualche tassello manchi e che nessuno, ma proprio nessuno, meriti tutto questo.
Noi non abbiamo dimenticato e oggi Stefano lo ricordiamo così:
Titolo: Non mi uccise la morte
Autore: Luca Moretti, Toni Bruno
Editore: Castelvecchi
Collana: Tazebao
Dati: 2010, 111p., illustrato, brossura
Prezzo di copertina: 12, 00 euro

La recensione di Sara:
“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte”. Sembrerebbe solo una citazione di Fabrizio De Andrè, ma è molto di più, è la frase che meglio rappresenta la vicenda di Stefano Cucchi.
Il “blasfemo” in questione è lui, un giovane trentunenne che viene arrestato la notte del 15 ottobre 2009. Una pattuglia di carabinieri lo ferma e gli perquisisce la casa. Tutto quello che trova sono 20 grammi di hashish. La guardie garantiscono alla famiglia che Stefano se la caverà con, al massimo, gli arresti domiciliari. Il quantitativo di stupefacenti ritrovato in casa Cucchi non è imputabile per spaccio.
Quando Stefano viene portato in caserma pesa 52 kg, ha trascorso un periodo in un centro di recupero per tossicodipendenti, ma ora sta bene, soffre solo occasionalmente di crisi epilettiche. Il giovane si è rifatto una vita ed è diventato geometra.
Il giorno dopo l’arresto Stefano comincia a star male, al momento del ricovero i medici si accorgono di strane ecchimosi sul suo corpo, ha un occhio gonfio e rosso, segni di evidenti sevizie subite in carcere, ma nessuno fa nulla.
Ai genitori viene negato il permesso di visitare il proprio figlio perché “Questo è un carcere, non un ospedale”.
Quando Stefano muore pesa solo 37 kg, il suo corpo è martoriato, ha un occhio incavato, l’altro quasi fuori dall’orbita, bruciature di sigarette sul corpo.
Questo è solo l’accenno a una vicenda che ha colpito l’Italia e che ancora presenta più ombre che luci. Nessuno ammette che qualcuno ha abusato della propria divisa, ma tutti sanno che è così.
A raccontarci la vicenda di Stefano dal giorno del suo arresto fino al momento della morte è Luca Moretti. L’atmosfera è angosciante, cupa, viene da piangere leggendo quelle poche pagine su una così giovane vita spezzata da chi ha fatto cattivo uso della propria autorità.
Il racconto continua con un fumetto realizzato dallo stesso Moretti e Toni Bruno. Tante immagini, poche didascalie, del resto non servono, bastano quei disegni in bianco e nero a rendere giustizia e a far chiarezza su chi era Stefano Cucchi e su chi sono quei balordi che l’hanno ucciso. Le immagini sono di effetto: i primi piani, le ferite del ragazzo, le beffe delle guardie, le risate di scherno e la sofferenza negli occhi degli altri detenuti.
Molto significativo è il disegno raffigurante un Cristo in croce che riporta, al posto della solita scritta I.N.R.I. sulla cima, la sigla A.C.A.B, “ All cops are bastards”.
Il fumetto è arricchito da fotografie prese dall’album di famiglia e da giornali che ritraggono Stefano prima dell’arresto, un ragazzo in evidente buono stato di salute; seguono le foto del ragazzo dopo l’arresto e dopo l’autopsia. Non ci sono parole per descrivere ciò che si prova guardandole, solo tanta rabbia, tanto rancore e tanto dolore. Schifo.
A strappare un sorriso e una lacrima sono invece i manifesti comparsi per le strade in memoria di Stefano e le scritte che hanno accompagnato una delle prime date italiane del tour dei Massive Attack.
La vicenda di Stefano Cucchi resta ancora più impressa e suscita ancora più sdegno grazie al dossier scritto da Cristiano Armati, in chiusura, che ci racconta di tante altre morti nelle carceri, di tante altre atrocità di cui si macchia chi in realtà dovrebbe proteggerci.
Non si stenta a credere che non ci sia fiducia nella giustizia, non può essercene se chi porta una divisa crede di poter decidere della vita altrui, se chi porta una divisa crede di poter giocare con i detenuti e sfogare su di loro la propria frustrazione. Potranno essere i peggiori criminali di questo mondo ma meritano rispetto in quanto essere umani.
Finchè non ci sarà quel rispetto non ci sarà nessuna differenza tra un carabiniere e una guardia delle SS. E le immagini di Stefano dopo l’arresto, la sua perdita di peso improvvisa, fanno pensare…

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