lunedì 3 giugno 2013

Intervista a Tina Cacciaglia

Tina Cacciaglia è nata a Napoli, laureata in Sociologia svolge l’attività di Conciliatrice Professionista, oltre a interessarsi da diversi anni di scrittura ed editoria.
Ha pubblicato diversi articoli per riviste quali L’isola, il Giornale di Cava, Il Vescovado. Una sua favola è stata letta a Radio Rai Due ed è arrivata finalista al concorso Parole in Corsa con un brano pubblicato in antologia.
Ha partecipato a Torino al Perfect Day della Scuola Holden, organizzato da Alessandro Baricco, con un breve brano, pubblicato dal quotidiano Il Denaro e dalla rivista Grazia.
Il romanzo storico “La Signora della Marra”, di cui è una delle due autrici, è stato segnalato dalla giuria del Premio Calvino 2009 come degno di merito, ed è in corso di prossima pubblicazione.
Sempre nel 2009 ha vinto il primo premio Creatività e scienza, città di Salerno con un racconto di fantascienza storica pubblicato in antologia.
Nel concorso nazionale Io scrittore 2011 è risultata vincitrice con un romanzo noir, pubblicato in ebook dal Gruppo Mauri Spagnol nel marzo 2012.




Benvenuta nel nostro angolino magico. Come di consuetudine, iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: chi è e perché scrive Tina Cacciaglia?
Fin da bambina ho amato sia le storie che mi raccontava mio padre, capace d'inventarne ogni giorno di nuove, sia i grandi sceneggiati della Rai di un tempo che facevano venir voglia di andare subito a leggere il romanzo da cui erano stati tratti. Ricordo di aver tentato di mettere su carta anche io delle piccole storie  già dalle scuole elementari dove la cosa che più mi piaceva fare era il tema. Poi, da adolescente ho letto due autrici che in me hanno lasciato un segno, Matilde Serao e Sibilla Aleramo, e da quel momento ho cominciato a pensare alla scrittura come a una delle possibilità della vita. Sia la Serao sia l'Aleramo, profondamente diverse nello stile e nella vita, avevano però tratto la loro forza dalla determinazione e  dalla passione per la scrittura, riuscendo a imporsi in un mondo tutto al maschile.      

Il sussurro di Vico Pensiero. Com’è nata l’idea?
Sono laureata in Sociologia e fin dai tempi dell'università mi ha sempre interessata la lettura antropologica dei misteri, culti e superstizioni della mia città. Inoltre, quando ero bambina la mia tata mi raccontava di fantasmi, janare, monacielli, io mi spaventavo tanto ma al tempo stesso m'incantavo e m'incuriosivo. Così ho pensato di dare voce a questo patrimonio della mia città e per farlo ho scelto d'inserirlo nel contesto di una storia noir.  

Il sussurro di Vico Pensiero e Napoli sono legati a filo doppio per diverse ragioni. Ci parleresti di questo legame e del tuo legame con questa città?
Il sussurro di Vico Pensiero e Napoli sono legati, come giustamente dici, con un filo più che doppio: senza Napoli, la storia che vi è narrata non esisterebbe. Se al mio romanzo si toglie la  città viene a mancare alla trama la protagonista principale.
Ci sono romanzi in cui la storia tiene così tanto che se invece di svolgersi a Parigi, per esempio la si sposta a Vienna, cambieranno i nomi delle strade, dei cibi, delle canzoni ma la trama resta lì, perfetta. Non nel mio libro, in esso Napoli è un personaggio e senza tantissime pagine finirebbero per non avere alcun senso. Questo perché calati in un'altra realtà molti dei personaggi del libro non potrebbero reagire proprio in quel modo e non in un altro, in quanto il loro agire gli deriva da oltre 2000 anni di superstizioni e antichi riti.    
Il  mio legame con Napoli è stretto, essa è parte di me, ma non credo che sia una cosa insolita. Ritengo che ciò sia vero per ogni persona del globo nei confronti del proprio paese natale o del luogo dove ha vissuto la maggior parte della sua vita. 

Nel libro ci descrivi soprattutto una Napoli misteriosa,
popolata di fantasmi e fortemente ancorata alle tradizioni e alle antiche leggende popolari. Quale il tuo personale approccio al mistero?
Razionale, rispondo di getto. In effetti, poi mi accorgo che non è così, in realtà in me si scontrano ed entrano in collisione due mondi: l'attuale in cui vivo con la sua lettura positivistica della realtà, e il fuori dal tempo che respiro lungo gli antichi decumani di Napoli. Ecco, forse la risposta più corretta è data da uno dei personaggi del romanzo, Anita. L'anziana signora pensa  tra sé : La superstizione a Napoli ha sempre e solo aiutato a vivere.   

Tra i vari culti e riti ai quali fai riferimento, mi ha particolarmente colpito il culto delle capuzzelle, ovvero delle anime senza nome. Spiegheresti ai nostri lettori di cosa si tratta?
Questo culto ha un fascino speciale, tanto che chi entra in questi famosi ossari e ne viene a contatto ne resta completamente ammaliato. Napoli ha un rapporto unico con la morte, come se non ci fosse un al di qua e un al di là. È come se il rapporto fra i morti e i vivi non si interrompesse mai e tra i due mondi la comunicazione fosse continua, facile e possibile.
Nel corso della storia tra pestilenze, guerre, e altre calamità spesso per il gran numero di vittime non c'era stata altra scelta che l'uso delle fosse comuni, dove i defunti venivano sepolti senza un nome e senza una lapide.
Chi si ricordava di loro? Chi poteva con messe e preghiere abbreviare la loro espiazione in Purgatorio? Nasce così il culto delle capuzzelle, cioè dei teschi, che altro non è che un patto stretto tra un vivo e il cranio di un defunto. Il vivo pensava: “Se ti lucido, ti pongo in una teca, ti porto dei fiori, ti dico preghiere e ti faccio celebrare messe, tu capuzzella che sei nel mondo dei più, puoi pure farmi sognare i numeri del lotto, farmi trovare marito, aiutarmi a uscire da un guaio...”
Ma i patti si stringono in due, e anche questo doveva essere accettato sia dal  vivo e sia dal morto: il vivo dopo aver scavato dalla fossa comune una capuzzella, averla ripulita, pregato per la sua anima e circondata di ceri e fiori aspettava, se nella notte tra la domenica e il lunedì  successivi sognava i numeri del lotto, o comunque in quei giorni almeno una parte di quello che aveva chiesto si realizzava, allora voleva dire che il morto aveva accettato il patto che  il vivo gli aveva proposto, l'adozione diventava definitiva e irrevocabile. Se ciò non accadeva il vivo, scavava un altro cranio dalla fossa comune e ricominciava tutto daccapo.
Negli ossari napoletani sono conservate, tra i tanti teschi, le capuzzelle che hanno avuto una storia più famosa o che sono conosciute come particolarmente miracolose o pericolose.  

Non è vero ma ci credo. È un detto che, a mio parere, ben rispecchia l’approccio comune alla superstizione; in molti ne prendiamo le distanze ma nessuno di noi rinuncia a qualche piccolo rito scaramantico perché non si sa mai… Quale il tuo personale approccio? Segui qualche “rituale” particolare quando scrivi?
Non ho veri rituali scaramantici, ma un'abitudine a cui tengo sì. Ogni anno nel periodo   prima di Natale, vado con una o più care amiche a Via San Gregorio Armeno, che è la famosa strada dei Presepi di Napoli, dove oltre a pastori, decorazioni, luci e ect è possibile acquistare ogni sorta di ninnolo contro il malocchio e la fattura, apportatore di fortuna e di salute... Ci sono i corni, le statuine del gobbetto, del monaciello, della 'mbriana, che è una donna nume tutelare della casa. Ogni anno io e le mie amiche ci scambiamo in regalo tra noi uno di questi ninnoli, ognuna paga quello dell'altra, perché, specie i corni ma in generale tutti gli oggetti scaramantici, devono essere regalati per poter proteggere. In realtà è un modo che abbiamo tra noi, per collezionare questi oggetti fatti a mano da bravi maestri presepai, ed è anche un modo di passare un piacevole pomeriggio, scherzando a regalarci la fortuna.


Come nascono i tuoi personaggi? Ce n’è uno a cui ti senti particolarmente legata o che, in qualche modo, ti rappresenta?

Quando concepisco per la prima volta un personaggio penso a una passione che lo muove a un sentimento. Ad esempio immagino che Tizio prova tanto odio dentro di sé, poi comincio a pensare a come si muove, che fa, che dice, che pensa un Tizio che cova tanto odio.

C'è un personaggio a cui sono molto legata, Anita. Nel crearla mi sono posta questa domanda: come pensa, che dice, che fa una donna molto anziana e non colpita da un processo d'invecchiamento cerebrale? Anita è lucida, ma il suo corpo è vecchio, il suo cervello intatto arriva dove il suo fisico non può più. La passione che la muove è la saggezza di chi con lucido raziocinio sa leggere il libro della vita perché è sazio di anni.   




Recentissima la tua partecipazione insieme allo staff di
Runa Editrice al Salone del Libro di Torino. Un tuo feedback su questa esperienza?
Non credo di poter dire che cosa sia stata questa esperienza. La Runa Editrice, non solo pubblicando il mio noir ma facendo sì che venisse presentato al Salone del Libro di Torino ha realizzato quello che per me era il mio più grande desiderio. Dentro di me covava da sempre un sogno, scrivere un libro e presentarlo a Torino, ecco Fabio Pinton con la sua Runa lo ha reso realtà.  

Nel corso della tua carriera letteraria hai ottenuto svariati riconoscimenti, da una segnalazione al prestigioso Premio Calvino alla vittoria del Torneo Io Scrittore organizzato dal gruppo Mauri Spagnol − per citarne alcuni. Cosa hanno significato per te questi premi? Ritieni che abbiano avuto una reale influenza sul tuo percorso da scrittrice?
Quando si comincia a scrivere, a meno di non avere un alta opinione di sé, si ha bisogno  di conferme, e che queste ti arrivino da amici e parenti non conta nulla. Quei poverini potrebbero mai dire che quello che scrivi è  terribile?
A questo scopo mi sono stati certamente utili i vari riconoscimenti dai piccoli premi letterari a quello più importante della segnalazione per merito al Calvino, così come i vari articoli che mi sono stati pubblicati da giornali e riviste. Mentre merita un discorso a parte il torneo di Io scrittore, è una gara dura, dove lettori/giudici e autori coincidono, allora il giudizio è spietato, se ci si mette che poi ci sono i furbi, i franchi tiratori ect... riuscire a vincerla non è affatto facile.  Il premio che si ottiene, però non è da poco, pubblicare sia pure in ebook con il gruppo Mauri Spagnol è un buon scalino d'avvio per il precorso di scrittura che si vuole intraprendere.  

Tra le tue più recenti pubblicazioni figura anche un romanzo storico scritto insieme a Marcella Cardassi: La signora della Marra. Ti va di raccontarci qualcosa a proposito di questo libro e della particolare esperienza di scrittura a quattro mani?
La mia amica da sempre Marcella, che ama e si dedica alla ricerca storica, un giorno alcuni anni fa mi telefonò. “Ho scovato una bella storia su una donna di Ravello nel 1283, la vuoi scrivere?” Da quella telefonata e per più di un anno io e Marcella ci siamo incontrate ogni settimana, lei raccoglieva fonti e documenti, tesseva l'ordito della storia e io ci ricamavo su la trama del romanzo. É stato molto divertente, istruttivo e stimolante. La storia ci ha preso molto, dalla ricerca storica veniva fuori una donna Chura Rufolo che osò sfidare il re Carlo d'Angiò. Il sovrano aveva accusato i familiari della protagonista di essere stati i responsabili delle cause  che avevano provocato la sommossa  dei Vespri Siciliani. E noi, ma mano che approfondivamo questa storia, ci stupivamo sempre di più, come poteva aver fatto quello che fece questa nobildonna di un epoca tanto remota? Quasi fosse stata una donna dei nostri tempi. Chura ci ha conquistate e a noi è piaciuto raccontare la sua storia.

Che tipo di lettrice sei? Ci sono degli autori a cui ti ispiri o che hanno influenzato la tua scrittura?
Leggo tantissimo, 4 o 5 libri al mese e a volte di più, eppure non ne ricordo dopo un poco nemmeno i titoli e gli autori. Se però un testo riesce a rimanermi nella memoria sono poi capace di serbarne il ricordo per sempre, quel libro mi è davvero piaciuto.
Non mi ispiro a nessuno di mia volontà, inconsciamente accadrà di certo ma io non me ne accorgo. Quello che, invece, so bene sono i libri che ho amato e che sono le pietre miliari della mia formazione: “I Buddenbrook”, in assoluto il libro che amo di più. “Memorie di Adriano”, “Il resto di niente”, “Canne al vento”, “L'isola di Arturo”, tra gli autori moderni non faccio nomi molti sono amici e non voglio far torto a nessuno. 

Cartaceo o digitale? Quale il futuro dell’editoria? Quale il tuo rapporto con gli e-book?
Carta, amo l'odore, la forma, la consistenza dei libri. Mi piace accatastarli nelle librerie a casa, perché i ripiani sono già tutti più che pieni. Eppure credo che il futuro sia degli ebook,  ritengo che soppianteranno totalmente il libro cartaceo e che in futuro lo si andrà ad ammirare nei musei come un antico cimelio. Questa è una delle poche cose che mi fa ringraziare il cielo di non essere più una ragazza, almeno probabilmente mi sarà risparmiato di vivere in un mondo senza libri e senza più polverose e silenziose biblioteche in cui andare a fare suggestive ricerche, sfogliando vecchi testi con pagine ingiallite di carta che crocchia. 

Sogni nel cassetto e progetti per il prossimo futuro?
Scrivere. Per fortuna è un'attività che è possibile praticare fino a quando il cervello non ci abbandona, e io spero di continuare fino a quel momento e non importa se il fine sarà la  pubblicazione o unicamente me stessa. Mi auguro di riuscire a trovare sempre dentro di me storie da raccontare, perché per me lo scrittore è in primis un narratore di storie, come gli antichi Menestrelli che giravano paese per paese portando agli abitanti il piacere di sospendere per un poco la realtà a volte dura in cui vivevano e rifugiarsi in un altro mondo dove potevano sentirsi pirati, soldati, amanti o amati.  



E per saperne di più...

Leggi la nostra recensione de Il sussurro di vico pensiero 

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