Recensione: L'inconsistenza del diavolo

Titolo: L'inconsistenza del diavolo
Autore: Daniele Picciuti
Editore: Golem
Pagine: 248
Prezzo: 9,90

Descrizione:
Maura Allegri è una giornalista "ribelle", vorrebbe trattare articoli importanti e di rilevanza sociale e non sottostare alle direttive del suo capo, che invece le chiede solo articoli di sicuro impatto sul pubblico. Quando, in metropolitana, Maura si imbatte in un uomo inquietante con la bocca storta e un atteggiamento che lo fa apparire come un pedofilo, decide di seguirlo fino a una fabbrica abbandonata della periferia romana. Inizia cosi una sorta di discesa agli inferi, un incubo che sembra non avere fine, dove i fantasmi del passato si intrecciano con l'orrore del presente ed emerge la consapevolezza che il "diavolo" che "una misteriosa setta" cerca di evocare non esiste, perché il diavolo è in ognuno di noi, la sua "materializzazione" non è che una scusa per poter fare del male al prossimo.

La recensione di Miriam: 
Per Maura Allegri il giornalismo è una vocazione, vorrebbe che la sua penna fosse al servizio della società, un mezzo per denunciare le ingiustizie, gli abusi ai danni dei più deboli, e magari stanare qualche criminale. Il direttore della testata per cui lavora, tuttavia, ha idee molto diverse: vendere è il suo obiettivo e gli argomenti cari a Maura non sono quelli che il pubblico pagante reclama.
Per questa ragione la scoraggia tutte le volte che le parla di pedofilia, che nomina una serie di bambini scomparsi, sostenendo di essere certa che i casi siano collegati e di avere anche un fondato sospetto su chi possa essere il responsabile di tali crimini. In realtà, Maura segue la sua pista ormai da lungo tempo, sebbene nessuno sia disposto a darle credito. In effetti anche la polizia ha liquidato le sue ipotesi come fantasiose quando ha tentato di condividerle. A quanto pare, nessuno vuole guardare in faccia il male, quello vero; è più comodo distogliere lo sguardo e fingere che non esista, è più comodo addossare a un fantomatico diavolo le colpe della società.
Maura, però, non demorde. Ha preso di mira il suo pedofilo, l’uomo dalla bocca storta che incontra sempre in metropolitana, e un giorno decide di osare di più: scende alla sua stessa fermata e lo segue, senza farsi notare. Man mano che i suoi passi si susseguono, la convinzione di aver visto giusto si rinsalda. Il losco individuo imbocca strani sentieri, si allontana dal centro abitato, fino a lasciarsi inghiottire da una fabbrica abbandonata da cui provengono suoni inquietanti, voci umane, forse i gemiti di una bambina.
La donna comincia ad avere paura ma non si tira indietro, procede ed è così che finisce per varcare la soglia dell’inferno.
Quel che ci cela all’interno del vecchio stabile va persino al di là degli orrori che Maura si era prefigurata. Non un solo demone ma un intero branco di bestie intente a compiere atti osceni. Una bambina e una ragazzina di quindici anni sono alla loro mercé e, se la giornalista non si inganna, non sono le sole vittime.
A questo punto la cosa più saggia da fare sarebbe scappare e provare a chiedere aiuto, ma ormai è tardi. Qualcuno ha scovato l’intrusa e non ha alcuna intenzione di lasciarla uscire viva da quel luogo infernale.
La tensione è alle stelle, l’ambiente claustrofobico, il terrore aggravato dall’impossibilità di prevedere quello che accadrà. Il libro si legge così, restando costantemente sulle spine, con l’impressione di avere un cappio alla gola che stringe, togliendo il fiato.   
La trama si sviluppa in un crescendo di orrore e follia. Più va vanti e più si complica, quasi che il filo narrativo si annodasse anziché sbrogliarsi. Perversione e violenza sono gli ingredienti basilari di un piano delirante in cui gli istinti più bassi dell’essere umano si vestono di pseudo-misticismo nel goffo tentativo di demandare qualsiasi responsabilità.
Lo scenario che progressivamente si delinea riconduce a una setta satanica e a un macabro rituale ma quel che Maura scopre all’interno di quella che diviene anche la sua prigione ha davvero a che fare col diavolo? Il diavolo esiste o è solo una creazione dell’uomo, una maschera che egli stesso indossa all’occorrenza per occultare la sua anima oscura, la sua cattiveria, il suo bisogno di fare del male?
Questo interrogativo dal consistente peso filosofico attraversa tutto il romanzo. Tenendoci sulla corda in balìa di atmosfere in bilico fra thriller e horror che non ammettono distrazioni, Picciuti ci invita così a riflettere sul significato più profondo e sulla natura stessa del male.
Il plot si compone di tasselli che si incastrano alla perfezione tracciando un percorso che ci conduce a un finale dall’effetto sorpresa davvero destabilizzante e nello stesso tempo delinea i tratti di tre personaggi femminili, molto diversi fra loro ma ugualmente capaci di imprimersi con forza nella nostra mente. La piccola e fragile Nitya, che ci spezza il cuore con la sua storia, crudele quanto realistica, di un’infanzia rubata; l’aggressiva e impenetrabile Giulia, di soli quindici anni, stuprata nel corpo e nell’anima, e infine Maura, che con grande autoironia di definisce una Lara Croft dei poveri ma che, in realtà, si rivela una donna di strabiliante coraggio. Maura è una protagonista che buca la pagina e si insinua sottopelle perché è un’eroina “della porta accanto”, armata non di spada ma di rabbia e determinazione. La sua forza non risiede nella capacità quasi magica di far trionfare il bene ma nella consapevolezza che riconoscere l’inconsistenza del Diavolo, richiamando l’essere umano alle proprie responsabilità, sia il primo e più efficace passo da compiere per combattere il male.





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