martedì 21 febbraio 2017

Recensione: Morte con carne di Shane McKenzie

Titolo: Morte con carne
Autore: Shane McKenzie
Editore: Independent Legions Publishing
Pagine: 230
Prezzo cartaceo: 17,04
In uscita anche in eBook
Disponibile qui


Descrizione:

Felix e Marta si recano in Messico per girare un documentario sull'immigrazione clandestina, sul commercio di persone, sugli omicidi e altri crimini che caratterizzano il territorio di confine tra Stati Uniti e Messico, una brutale terra di nessuno che spesso si tinge di sangue. Marta vuole scoprire cosa è accaduto ai propri genitori, loro stessi immigrati, e documentare cosa avviene, quale può essere la terribile sorte a cui vanno incontro i disperati che tentano di passare la frontiera. Per iniziare la loro missione, in incognito, fingendosi immigrati, Marta e Felix sostano in una piccola città di confine, un luogo estremamente pericoloso, abitato da bande di droga, poliziotti corrotti, maniaci borderline, e qualcosa di molto peggio... una famiglia che vive di passioni forti, decise, senza compromessi: la cucina messicana, a base di carne, la predazione di esseri umani, e un’originale, deviante interpretazione della Lucha Libre, lo stile di wrestling messicano. Quando Felix e Marta incontreranno questa famiglia, e i loro riti di cibo, sesso e violenza, la loro vita, e la loro missione, cambierà per sempre.

La recensione di Miriam:
Confine fra Messico e Stati Uniti: sempre più clandestini ispanici tentano di eludere la sorveglianza e di saltare oltre il recinto che li separa dall’opportunità di una vita migliore. Pochi ce la fanno mentre molti vengono fermati dalla polizia. Nessuno sa cosa succede esattamente dal quel momento in poi, ma si racconta di percosse, stupri, sparizioni. La frontiera sembra essere diventata un vero e proprio buco nero che inghiotte chi osa sfidarla.
Lo scenario su cui si apre il romanzo è di un’attualità inquietante. Non ho potuto fare a meno di pensare al muro di Trump, a quello che sta accadendo di recente in America e non vi nascondo che ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena. La storia che segue non è incentrata sulla politica né esprime giudizi in tema di immigrazione, si tratta di un extreme horror finalizzato soprattutto all’intrattenimento, ma il legame saldo con un contesto reale e familiare fa schizzare subito la tensione a livelli altissimi. Una delle peculiarità che caratterizzano l’opera, e che dal mio punto di vista la rende particolarmente interessante, risiede infatti nel perfetto connubio che si crea fra splatter e terrore fine. Le pagine sono intrise di sangue, affollate di interiora rovesciate, corpi scuoiati, cervella, eppure non è solo per questo che si trema.
A pungolare il senso della paura è la plausibilità di quello che accade, l’idea che per quanto folle non ha nulla di sovrannaturale, giacché l’incubo in cui  gradualmente precipitiamo con i protagonisti attiene al lato oscuro della natura umana che, si sa, è in grado di superare qualsiasi immaginazione.
La discesa nell’inferno comincia quando Marta, ragazza di origini ispaniche adottata da una famiglia americana e cresciuta legalmente negli Stati Uniti, decide di fingersi clandestina e di farsi arrestare al confine. Lo scopo del suo progetto suicida è quello di scoprire cosa accade ai messicani catturati e di produrre un documentario affinché tutti conoscano la verità. Portarlo a termine per la ragazza significherebbe anche scoprire cosa ne è stato dei suoi genitori biologici, presi appunto mentre tentavano di oltrepassare la frontiera. Ad accompagnarla in questa missione e il ragazzo, Felix, che non approva ma non ha cuore di abbandonare la sua amata a un destino che non promette nulla di buono.
Il viaggio comincia e man mano che la meta si avvicina l’atmosfera si fa sempre più tesa. Si percepisce con chiarezza che c’è qualcosa di sbagliato, lo si capta a cominciare dall’aria che si respira e dagli incontri che scandiscono la marcia fino al punto di arrivo. Sono quasi messaggi subliminali, dettagli  che McKenzie dissemina sul suo sentiero narrativo, quasi fossero macabre briciole di Pollicino, mettendo i nostri sensi in allerta. Basti pensare al modo lascivo in cui il proprietario del motel in cui Marta e Felix fanno sosta mastica un pezzo di carne essiccata; alla loro sensazione di essere costantemente spiati, soprattutto nei momenti di intimità; all’ambiguità dello sceriffo; agli sguardi in tralice degli avventori del bar, sino ad arrivare alla roulotte dei Tacos in cui si avvicendano personaggi dall’aria grottesca che servono cibo dall’aria invitante e il profumo irresistibile… almeno fino a che non si conoscono gli ingredienti.
Più si va avanti e più aumentano la trepidazione e l’ansia di scoprire cosa succederà quando i due giovani verranno infine presi. Tuttavia, ciò che riusciamo a prefigurarci è destinato a essere spazzato via perché, da bravo burattinaio, l’autore ci depista, ci spinge volutamente in una direzione salvo poi costringerci a una brusca virata.
In effetti, qualcosa di terribile si annida lì al confine ma non è nulla che si possa presagire.
Per ovvie ragioni non vi svelerò di cosa si tratta, ma preparatevi a visitare una sinistra casa abbandonata, a conoscere una famiglia che definire inquietante sarebbe un eufemismo, ad assistere a raccapriccianti incontri wrestling…
Lo stile è ipnotico, le scene splatter  che si susseguono a ritmo serrato sono così crude e dettagliate da mettere a dura prova gli stomaci più deboli. Eppure, fra spuzzi di sangue e carne fatta a pezzi mettono radici anche sentimenti profondi, sentimenti violenti, disperati. In Morte con carne non c’è solo orrore fine a stesso, non c’è solo il sensazionalismo della violenza che raggiunge picchi estremi divenendo quasi oscena, c’è anche il dramma dell’emigrazione, la fame, la solitudine, la tristezza dell’amore non corrisposto,  la disperazione che sfocia nella follia sospingendoci in corsa verso un finale perfetto che, nel sorprenderci, non ci dona sollievo ma, in sintonia con l’efferatezza della storia narrata, stringe come un cappio alla gola e torna  a farci tremare, catturandoci in un perverso loop.


















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