martedì 23 luglio 2013

Recensione: Nell'angolo più buio

Titolo: Nell'angolo più buio 
Autrice: Elisabeth Haynes 
Traduzione dall’inglese di Chiara Brovelli 
Editore: Giano 
Collana: I libri della civetta 
Pagine: 448 
Prezzo: 12,00 euro
Descrizione: 
Catherine è una ragazza che ha sempre vissuto irresponsabilmente la sua giovinezza, tra party, alcol e partner occasionali, quando incontra Lee. Sguardo rude ma diretto, prestante d’aspetto e risoluto nei modi, Lee infrange subito il suo cuore.
Il tempo necessario per un romantico corteggiamento e Catherine accetta, senza alcuna esitazione, di andare a vivere con lui.
La scelta si rivela impeccabile nei primi mesi di convivenza: Lee è affettuoso, pieno di premure e attenzioni. Appare stranamente sfuggente soltanto quando viene interrogato sul suo lavoro, ma Catherine, innamorata com’è, non fa attenzione a questa trascurabile reticenza. Poi, gradualmente, attraverso segni appena percettibili, piccole scenate di gelosia, critiche per un’acconciatura o per un abito troppo eccentrico, il clima muta. Lee diventa ombroso, cupo, si assenta misteriosamente per giorni e, infine, in un’escalation drammatica, svela il suo vero volto. Schiaffi, torture psicologiche, botte, insopportabili umiliazioni fisiche, Catherine viene violata nell’intimo, rinchiusa a chiave in una stanza, ridotta a vittima inerme di un carnefice senza pietà.
Probabilmente morirebbe se, in circostanze accidentali, non fosse scoperta nella sua agonia da una vicina di casa, che denuncia Lee e ne determina l’arresto, il processo e la condanna. La violenza psichica è penetrata, però, a fondo nella mente e nell’anima di Catherine. La ragazza cambia ogni giorno strada per tornare a casa, azzera le sue relazioni col mondo esterno, ispeziona ogni ora meticolosamente la sua abitazione, assume comportamenti compulsivi estremi dettati dal fantasma incancellabile del suo carnefice.
Un fantasma che diventa di carne e ossa il giorno in cui una telefonata annuncia che Lee è uscito di galera.

 

L'autrice:
Elizabeth Haynes è analista di intelligence per la polizia. È nata e vive nel Kent con il marito e un figlio. Ha iniziato a dedicarsi alla narrativa nel 2006, grazie al concorso annuale National Novel Writing Month (Nanowrimo) e al corso di scrittura al West Dean College. Nell’angolo più buio è il suo primo romanzo.  


La recensione di Miriam:


Controllare il portone d’ingresso.
Controllare finestre e tende.
Controllare la porta dell’appartamento.
Controllare il cassetto della cucina…
Ripetere!
Un rituale estenuante, un rituale necessario a cui Catherine Bailey non può sottrarsi. Le tocca ogni volta che esce e che rientra a casa. Un loop infernale che le costa ore al punto da costringerla a prepararsi con abbondante anticipo se non vuole arrivare in ritardo al lavoro o a qualsiasi appuntamento. È l’obolo da pagare quotidianamente per tenere a bada gli attacchi di panico, ma non basta. Cathy deve contare i passi, prendere il tè a orari precisi, fare la spesa solo nei giorni pari per evitare che il terrore rompa gli argini.
Vivere così è un incubo eppure è nulla in confronto a quello che è stato. Le sue ossessioni sono sintomi ascrivibili a una precisa patologia: sindrome ossessivo-compulsiva, ma nessuna diagnosi può contenere davvero i fantasmi se quei fantasmi sono reali; non c’è terapia che possa smorzare la paura se a scatenarla è un pericolo concreto.
Catherine non è pazza, è la vittima di un uomo violento e perverso. Nonostante l’abbia quasi uccisa, Lee Brightman è stato condannato a soli tre anni di reclusione. Adesso che il tempo è scaduto è di nuovo libero, è lì fuori da qualche parte ed è pronto a terminare quello che ha cominciato.
Leggere questo libro è come entrare in una gabbia e comprendere nello stesso istante di non poterne uscire. Ci si sente in trappola, manca l’aria e il livello di angoscia sale capitolo dopo capitolo. La cosa più agghiacciante è che la prigione − fisica e mentale − tanto abilmente descritta dalla Haynes non è un parto di fantasia, è la ricostruzione nuda a cruda di un orrore che si ripete sistematicamente nella vita reale.
Femminicidio, violenza domestica. Sono parole che riempiono quasi ogni giorno la cronaca, sillabe cucite insieme ma troppo deboli per poter contenere davvero l’orrore di ciò che rappresentano. 
Nell’angolo più buio colma la lacuna in modo spietato ed esauriente. Non è possibile prendere le distanze da Catherine, e non solo perché l’autrice opta per il racconto in prima persona che facilita l’immedesimazione. Il suo è un resoconto lucido, dettagliato che parte dal presente e poi scava nel passato fino a recuperare le origini dell’esperienza che l’ha devastata. Mentre lotta per tenere a bada i suoi sintomi e per ridare una parvenza di normalità alla sua vita, Cathy rivive con la memoria le tappe del suo calvario. È quasi una partita a ping-pong tra ieri e oggi, quella riprodotta dall’alternanza di capitoli brevissimi il cui effetto è quello di tenere sempre in evidenza quel rapporto di causa-effetto che ristabilisce l’ordine nell’apparente follia.
Il dramma segue un’escalation tanto graduale da insinuarsi in maniera subdola nella quotidianità della protagonista. Al principio non ci sono mostri; c’è un uomo attraente e sexy che fa la corte a una ragazza e lei si sente baciata dalla fortuna perché quel principe azzurro agognato da tutte l’ha scelta fra mille facendola sentire speciale. La relazione inizia sotto i migliori auspici. Pian piano salta fuori che l’uomo svolge una professione segreta e pericolosa della quale non può parlare ma ciò non toglie nulla al suo fascino e alla sua dolcezza, anzi lo rende deliziosamente misterioso.
In qualche modo giustifica il suo essere iperprotettivo nei confronti della donna che ama.
Inizialmente la sua condotta non desta sospetti, non ha niente di strano né di particolarmente esagerato. La blanda pretesa che Cathy vesta in un certo modo, che non faccia tardi la sera quando lui è assente per lavoro, le sue apparizioni improvvise nell’appartamento, i piccoli segnali come gli oggetti spostati per far capire che mentre lei non c’era lui è stato lì a controllare, in principio hanno la parvenza di innocui giochi dalle sfumature erotiche miste a normalissime esternazioni di gelosia.
In fondo è sempre così che funziona − la casistica insegna. La bomba esplode all’improvviso e solo allora i numerosi, piccoli segnali disseminati lungo il cammino diventano comprensibili quanto inequivocabili. Accade quando è troppo tardi per tornare indietro e, a precludere qualsiasi via di fuga non è l’illusione che “passi” né una mancanza di coraggio. 
Perché non l’ha lasciato subito? Perché non l’ha denunciato? Perché non ha chiesto aiuto? Perché non è scappata via prima che accadesse il peggio? 
Quando si parla di donne maltrattate, stuprate, picchiate tra le pareti domestiche, inevitabilmente affiorano simili domande.
Il racconto di Catherine fornisce tutte le risposte. Più ancora delle percosse, delle lesioni, delle umiliazioni subite è la sua solitudine a colpire come un pugno allo stomaco. Gli aguzzini come Lee, infatti, non si limitano a picchiare duro, sono scaltri, insospettabili, credibili. Giunto in tribunale ha la sua personale versione dei fatti da offrire in pasto ai giudici ed è una versione convincente al punto che le stesse amiche di Cathrine l’hanno bevuta.
Fa orrore il fatto che nessuno le creda. Oltre al danno Cathy subisce la beffa di passare per una donna depressa, esaurita, bugiarda.
Leggendo questo libro non ho potuto fare a meno di pensare alle tantissime donne che vivono incubi simili. Nonostante si tratti di un volume corposo, l’ho divorato tutto in un weekend; una volta “dentro” non sono più riuscita a smettere di leggere e non solo per la curiosità di scoprire cosa sarebbe accaduto dopo; la verità è che mi sentivo come intrappolata in un tunnel e avvertivo l’urgenza di raggiungere l’uscita. Sentivo che conquistarla sarebbe valsa la libertà anche per la protagonista. In realtà non è proprio un lieto fine quello che la Haynes ha in serbo ma lascia uno spiraglio aperto sulla speranza. Se ad accoglierci nell’incipit è una porta sprangata, nel finale la ritroviamo dischiusa al coraggio e alla voglia di ricominciare. Il rischio resta ma il desiderio di andare avanti vince, nonostante tutto.






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