Graziano Versace è nato a Belmore (Australia) il 16/02/64.
Laureato in Lettere Moderne, ha svolto
per qualche tempo l’attività di psicoterapeuta umanistico-esistenziale.
Attualmente insegna Materie Letterarie a Sant’Agata di Militello (ME).
Ha pubblicato un libro di narrativa per la scuola dal titolo Biglie colorate. Per San Paolo Edizioni ha pubblicato i romanzi Ladri di locandine e Tutto il mondo dentro. Il suo primo romanzo di fantascienza Raimondo Mirabile, futurista è uscito per Edizioni XII.
Benvenuto nel nostro
salottino letterario. Domanda di rito per iniziare: chi è e perché scrive
Graziano Versace?
Ho svolto per qualche tempo l’attività di psicoterapeuta,
poi sono passato in via definitiva all’insegnamento. Credo che la scrittura sia
qualcosa di connaturato, in me. L’ho sempre fatto. Siamo due aspetti
imprescindibili. O, se vogliamo, la scrittura è una mia diciamo estensione
naturale.
Parliamo di “Noos. Il
canto del mondo”. Com’è nata l’idea?
Sono partito dal fatto che, nell’antichità, lo stretto di
Messina, o quantomeno l’area marina circostante, rappresentava un punto di
passaggio per le megattere. Inoltre, ho sempre considerato il Mediterraneo un
bacino di idee ancora da sviluppare, specie in riferimento al periodo classico
greco e latino.
Quali difficoltà hai
incontrato nell’elaborare una trama che contiene riferimenti precisi al poema
omerico?
Poche, in effetti. Tutto sembrava volersi incastonare
all’Odissea. Mi è venuto quasi spontaneo associare i miei personaggi a quelli
omerici. Certo, il sapore della modernità ha reso i miei forse meno solenni,
però il tutto è stato compensato poi dall’aspetto fantastico/fantascientifico
del romanzo.
Quale il tuo
personale rapporto con l’Odissea? Cosa ti affascina maggiormente di
quest’opera?
Il senso di mistero che aleggia sulla vicenda. Il fatto che
nulla possa dirsi concluso, e che il viaggio sia parte integrante della vita
degli uomini. E poi, Ulisse ha la curiosa peculiarità di assumere in sé mille
sfaccettature, mille risvolti psicologici che, nei secoli, sono stati trattati
da autori molto ma molto più illustri di me.
Il tuo romanzo ha
un’ambientazione squisitamente italiana, ambientazione insolita per un romanzo
di fantascienza e da te descritta con grande dovizia di particolari. Ti va i parlarcene?
Beh, io amo il Mediterraneo, e soprattutto le isole
siciliane. Anche qui, in ognuna di esse, si sente un profumo di mistero che sa
di eventi inspiegabili. E, credimi, ho sentito così tante storie “misteriose”
sulle isole da poter scrivere almeno altri dieci romanzi.
Renzo e Roberto sono
due amici ma sono anche due personaggi molto diversi tra loro. Come nascono? Ti
riconosci in qualche modo nell’uno o nell’altro?
No, non mi riconosco in loro. Mi riconosco nel loro senso
dell’amicizia, sentimento per me molto importante. E sì, Renzo e Roberto sono
diversi, perché solitamente gli amici lo sono. Almeno, è sempre stato così per
me.
I protagonisti del
romanzo attraversano tutti un momento particolare delle loro vite, alcuni hanno
perso qualcosa, altri ne sono alla ricerca e, forse, proprio per questo non
esitano a lasciarsi coinvolgere in un’avventura incredibile. Quanto il
desiderio, o il bisogno, di credere può spingere gli uomini a guardare oltre
l’immediatamente visibile e ad aprirsi a nuove possibilità?
Bella domanda. Direi che il bisogno e il desiderio di
credere sia alla base della ricerca esistenziale dell’uomo. Una persona che
smette di desiderare, o di credere, è destinata a una vita più misera, o più
ordinaria. Tra l’altro, penso che questa fede “in quello che sta oltre di noi”,
come diceva A. C. Clarke, sia il motore stesso dell’evoluzione umana.
Tra le altre cose,
hai svolto l’attività di psicoterapeuta umanistico- esistenziale e hai
approfondito la ricerca sugli studi di Carl Gustav Jung dedicando particolare
attenzione al sogno. Quanto tutto ciò ha influenzato la tua scrittura?
Tantissimo. Jung, per me, è stato (ed è tuttora) molto
importante, proprio perché la lettura dei suoi scritti porta sempre a nuove
idee e stimoli. Poi, il mondo onirico è un regno ancora da esplorare, e sono
certo che, se un giorno si riuscirà a mettere insieme, e con la giusta
sapienza, la miniera di dati a disposizione, verremo a conoscenza di aspetti
dell’uomo che ancora possiamo solo immaginare.
Cosa puoi dirci a
proposito della tua esperienza editoriale?
Beh, ho avuto la fortuna di conoscere le persone giuste al
momento giusto. Loredana Rotundo, il mio agente letterario. Iaia Caputo, che mi
ha insegnato tanto. E Bruno Nacci, consulente letterario che mi ha sempre
ispirato. Senza di loro, non sarei qui. Questo per dire che queste figure –
l’agente, l’editor, il consulente – sono molto importanti nell’economia del
mondo librario e/o editoriale. Privarsene significa spesso non arrivare da
nessuna parte.
Per ben due volte sei
stato finalista al Premio Urania. Cosa ha significato e quali emozioni ti ha
regalato l’aver sfiorato un simile traguardo?
Io sono cresciuto a pane e fantascienza. Per me, rappresenta
un modo per pregare, o per avvicinarmi a Dio, o per interrogarmi sulla vita e
sul mondo. Chi siamo, cosa siamo, dove andiamo, da dove veniamo. Potranno
sembrare discorsi superati, ma non credo che ci sia qualcuno che li abbia
dimenticati, o messi da parte. Sono le eterne domande che, secondo la mia
modesta opinione, non smetteremo mai di porci, perché portano alla meraviglia e
a un respiro arioso quasi adrenalinico.
La fine di un altro
anno si avvicina. È tempo di bilanci e nuovi propositi. Quali i tuoi?
Bilanci più che positivi. Propositi, tanti. Un nuovo romanzo
per San Paolo sugli esperimenti genetici nei campi di concentramento, Il
ragazzo che giocava con le stelle, in uscita nel 2013. Un romanzo sulla scuola
fascista che presenterò a breve. E un nuovo romanzo di fantascienza, così, per
non smettere di sognare.
E per saperne di più...
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