giovedì 19 luglio 2012

Recensione: In fondo il buio



Titolo: In fondo il buio
Autore: George R.R. Martin
Editore: Gargoyle Books 
Collana: Gargoyle Extra
Pagine 376  
Prezzo: 16.90 euro



Descrizione:
Il primo libro di George R.R. Martin, fantascienza pura. Dirk è richiamato su Worlorn dall’amore per Gwen che pensava di aver perduto. Il pianeta, però, non è il mondo che Dirk immaginava e Gwen non è più la donna che aveva conosciuto; è infatti legata a un altro uomo e a un pianeta che sta morendo,  in cui niente può sopravvivere perché sta precipitando in un buio eterno. Questa terra desolata è il luogo di scontro tra culture diverse dove, con uno stile che ricorda Tolkien, inseguimenti e duelli si susseguono in un continuo crescendo. Epica, sesso e nostalgia si mescolano in un mix unico che rende questo romanzo un capolavoro.

L'autore:

George R.R. Martin (1948) è uno dei più grandi autori viventi di fantasy e fantascienza. Oltre a essere uno scrittore, Martin è produttore, sceneggiatore cinematografico e di fumetti. Le sue opere sono state tradotte in tedesco, francese, italiano, spagnolo, svedese, olandese, giapponese, portoghese, croato, russo, polacco, ungherese e finlandese. Della sua vastissima produzione ricordiamo Le cronache del ghiaccio e del fuoco, Il battello del delirio (Gargoyle 2010), Armageddon Rag.

La recensione di Miriam
Quando si parla di Martin, inevitabilmente il pensiero corre a Le cronache del ghiaccio e del fuoco, la saga che, a buon diritto, lo ha consacrato come maestro indiscusso del genere fantasy.
Ma cosa si cela nel passato letterario di questo grande scrittore?
L’opera recentemente ridata alle stampe dalla Gargoyle Books ci riconduce agli albori della sua carriera, In fondo il buio (Dying of the light) è infatti il suo romanzo d’esordio e la sua prima pubblicazione in America risale al lontano 1977. Risulta quasi incredibile che siano trascorsi così tanti anni dalla sua stesura perché leggendolo non si può fare a meno di rimanere colpiti dalla modernità che contraddistingue tanto lo stile quanto le tematiche affrontate.
Molto diversa da quella medievaleggiante delle Cronache, l’atmosfera in cui qui siamo immersi è di sapore fantascientifico, tuttavia la trama ingloba degli elementi che richiamano a gran voce il fantasy facendo sì che la storia si caratterizzi sin da subito per la sua interessante commistione di generi.
Siamo su Worlorn, un pianeta vagabondo che per secoli ha viaggiato nei cieli sfiorando la Ruota di Fuoco senza mai appartenere davvero a nessuna galassia. Un tempo ha ospitato il Festival, una lunga celebrazione di tutte le civiltà del mondo conosciuto, durante il quale ciascun popolo ha edificato sul suo territorio una città simbolo del suo luogo di origine importandone l’ecosistema e la rispettiva cultura.
La festa però adesso è giunta al termine e Worlorn stesso sta morendo. I sette soli che lo illuminano si stanno raffreddando e ben presto tutto sarà inghiottito dal buio e dal gelo. Nessuno sarebbe tanto folle da approdarvi in un momento del genere, ma quando Dirk‘t Larien riceve una chiamata da Gwen attraverso la gemma dell’anima non esita a raggiungerla.
Gwen è la donna che, in un passato ormai remoto, Dirk ha amato e perduto sul pianeta Avalon. Il desiderio di ritrovarla è tale da spingerlo a sfidare qualsiasi pericolo ma, giunto su Worlorn, dovrà fare i conti con una realtà ben diversa da quella che aveva immaginato. La sua amata è legata indissolubilmente a un'altra persona e non è più la stessa. Perché allora lo ha chiamato a sé?
In bilico tra speranza e disillusione, l’uomo dovrà dischiudere gli occhi su un universo sconosciuto e terrificante, in cui niente è come sembra e sopravvivere è un’impresa fin troppo ardua.
La prima parte del romanzo è prevalentemente descrittiva. Attraverso immagini  vivide ed esaurienti spiegazioni, l’autore ci consente di familiarizzare con il pianeta Worlorn e le diverse civiltà che rappresenta, si tratta di una tappa introduttiva che ha la funzione di preparare il terreno alla storia vera e propria. In queste pagine il ritmo narrativo è piuttosto lento e l’azione quasi assente. Tuttavia non ci si annoia, ci si sente piuttosto dei provetti esploratori che, contando su una guida esperta, si avventurano in un nuovo mondo. L’occhio vigile di Grasso Satana (uno dei soli che illuminano il pianeta) ci segue lungo i sentieri che conducono alle straordinarie città edificate per il Festival. Larteyn con le sue costruzioni capaci di immagazzinare luce e sprigionarla al buio o Kryne Lamiya che suona al passaggio del vento tra i suoi edifici, sono solo alcune delle meraviglie che sapranno sorprenderci. Non meno sorprendente sarà l’incontro con i diversi popoli che le abitano. In particolar modo avremo occasione di approfondire la cultura dei Kavalar, ovvero gli uomini con cui Gwen ha scelto di convivere. Si tratta di gente ostile e sanguinaria, assolutamente ligia a un codice d’onore che Dirk faticherà parecchio a comprendere e che costituirà la chiave di accesso alla seconda parte del romanzo. Superata la prima metà e assimilate le regole di Worlorn, saremo catapultati nell’avventura e il rapido susseguirsi di azioni non ci lascerà più tregua. Di qui  in poi, al pari del protagonista, ci sentiremo braccati dai numerosi pericoli incombenti, ne percepiremo paura e disincanto e distogliere lo sguardo dalla pagina sarà praticamente impossibile. 
Benché lo stile non sia ancora giunto alla piena maturità, i tratti distintivi della scrittura di Martin sono già tutti ravvisabili in quest’opera prima.  Le ambientazioni cupe, la crudezza delle descrizioni, l’efferatezza che, al momento opportuno, riesce a eclissarsi cedendo il passo a brani pregni di poesia sono tutti elementi riconoscibili come tipici del suo universo letterario. Stessa cosa può dirsi per i personaggi, assolutamente realistici e sfaccettati, mai etichettabili come buoni o cattivi, giacché in ciascuno di loro convivono vizi e virtù così come negli uomini in carne e ossa.
Non può considerarsi un vero eroe Dirk poiché, se pur animato da buoni propositi, è mosso dal bisogno egoistico di riconquistare la sua donna; né può considerarsi realmente una vittima Gwen perché, sebbene privata della sua libertà, subisce le logiche conseguenze di una sua scelta. Similmente non si possono considerare veri nemici i due Kalavar che minacciano il protagonista perché i loro schemi di comportamento, per quanto appaiano violenti e incomprensibili dall’esterno, rispondono a un preciso codice etico. Sarà proprio in virtù di questa complessità psicologica che le relazioni tra i diversi personaggi verranno frequentemente ridisegnate tracciando un percorso dinamico in cui si collocano svariati sentimenti. Un continuo gioco di luci e ombre che sembra riflettere nell’animo umano la stessa dicotomia che permea l’atmosfera del pianeta.
Lo scenario dipinto, come si è già detto,  è quello di una terra morente e di una società che si avvia alla perdita di tutti i valori, uno scenario che sebbene fantasioso e spinto al parossismo, colpisce per la sua verosimiglianza e non può che farci pensare, con un pizzico di inquietudine, alla decadenza del mondo attuale. Quasi un monito che attraversando il tempo giunge fino a noi per consegnarci un barlume di speranza: l’amore forse può trasformare il buio che si profila all’orizzonte della nostra umanità nella promessa di una nuova alba.




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