lunedì 18 agosto 2014

Recensione: Vita di Tara

Titolo: Vita di Tara 
Autore:  Graham Joyce 
Traduzione di  Benedetta Tavani 
Editore: Gargoyle Books 
Pagine: 362
Prezzo: 18 euro



Vincitore del British Fantasy Award 2012

Diritti opzionati per il cinema
Descrizione:
In una cittadina dell’Inghilterra centrale, la sedicenne Tara Martin scompare improvvisamente. È uscita a fare una passeggiata negli Outwoods, l’antico e misterioso bosco vicino, e non è più rincasata. La mobilitazione per trovare la ragazza è enorme: famiglia, amici, conoscenti, forze dell’ordine (agenti di diverse stazioni limitrofe, unità cinofile e sommozzatori). Di Tara, però, non v’è traccia. La polizia accusa Richie Franklin, il fidanzato diciottenne, di averla uccisa in seguito a un diverbio, rilasciandolo poi per insufficienza di prove ma marchiandone per sempre il destino. Parecchio tempo dopo, in una nevosa sera di Natale, Tara ritorna. La famiglia non crede ai propri occhi. Se nei genitori prevale la gioia e il sollievo, Peter, il fratello maggiore, è costernato: non riesce a dimenticare che la lunga assenza della sorella è stata fonte di un dolore indicibile e della rottura con Richie, il suo migliore amico e quasi un altro figlio per suo padre e sua madre. Ecco ora ripresentarsi Tara come se nulla fosse. Con indosso abiti fuori moda e un profumo di pioggia, vento, foglie, funghi, boccioli, la donna non sembra affatto invecchiata. E sì che sono passati vent’anni… ma Tara ha un’altra concezione del tempo e afferma di essere stata via soltanto sei mesi. Qualcosa evidentemente non quadra. Dove è stata Tara per tutto questo tempo? È stata rapita e plagiata da qualcuno? E da chi? Perché ciò che racconta è talmente singolare da spingere Peter a chiedere il supporto di uno psichiatra?
 
L'autore: 
Nato nel 1954 in un piccolo villaggio minerario appena fuori Coventry da una famiglia della classe operaia, Graham Joyce ha vinto premi prestigiosi come il World Fantasy Award nel 2003, il British Fantasy Award, il Grand Prix de l’Imaginaire, l’O Henry Award e l’Angus Award ed è tradotto in più di venti lingue. Dottore in letteratura inglese, attualmente insegna scrittura creativa alla Nottingham Trent University. Vive a Leicester con la moglie e i due figli. Tra i suoi romanzi Dark Sister, Requiem, The Tooth Fairy, Indigo,L’uomo dietro al vetro, Forse questa è la vita (Nord 2005, 2006),Memoirs of a Master Forger. È il portiere titolare della Nazionale inglese degli Scrittori.
  
La recensione di Miriam:


È la sera di Natale. I coniugi Martin, divenuti ormai anziani,  si apprestano a consumare la cena in solitudine quando qualcuno bussa alla loro porta. Non attendono ospiti e la ragazzina che si palesa oltre l’uscio ha tutta l’aria di essere una sconosciuta. L’impressione, tuttavia, dura il tempo di un battito di ciglia perché Dell e Mary conoscono benissimo la persona che hanno di fronte, è solo che… è passato così tanto tempo, ed è così incredibile che si tratti proprio di lei.
A celarsi dietro due lenti scure e abiti trasandati è Tara, la figlia che vent’anni prima è scomparsa nel bosco degli Outwoods senza lasciare traccia. Vent’anni di supposizioni, di terrore, di silenzio sfociato pian piano in sorda rassegnazione. Vent’anni senza risposta che sembrano non aver lasciato il minimo segno sul viso da adolescente appena riapparso dal nulla. Tara dovrebbe avere più di trent’anni e invece ne dimostra quindici, come se il tempo, per lei, avesse smesso di scorrere lo stesso giorno in cui è sparita.
Ma dov’è stata? Un ventennio è un intervallo lungo quasi una vita, un abisso nel caso specifico, che si è riempito di mille domande reclamanti altrettante risposte.
Il fatto è che Tara le risposte le ha, ma non sono quelle che una qualsiasi persona sana di mente sarebbe disposta ad accettare.
Voi credereste a qualcuno che sostiene di essere stato rapito dagli elfi e di essere rimasto intrappolato per due decenni in un modo parallelo?
Beh, è qualcosa che somiglia terribilmente alla versione di Tara.
Come prevedibile, nessuno le crede: non i genitori, non il fratello che ben presto accorre per osservare con i suoi occhi e udire con le proprie orecchie, non l’ex fidanzato che all’epoca è stato sospettato addirittura di omicidio, e nemmeno lo psichiatra Vivian Underwood da cui la ragazza viene condotta nella speranza che la scienza possa fornire una spiegazione plausibile per le sue assurde elucubrazioni.
Comincia così la meravigliosa storia di Tara, una favola non priva di tinte fosche, che odora di campanule e trasuda magia. Una favola che si avvia al galoppo con un bellissimo ragazzo giunto in sella a un cavallo bianco e che prosegue in un territorio inesplorato, lì dove danzano creature fatate e il tempo scorre controcorrente.
Con uno stile ammaliante, attraversato da una sottile ironia, Graham Joyce dà voce a un romanzo che sarebbe riduttivo definire meraviglioso. Vita di Tara non è solo un racconto di quelli che ti inchiodano alla sedia, che ti divertono e ti riempiono  gli occhi di meraviglia, è un’opera che ha il potere di scavarti dentro e di lasciarti nel cuore una generosa dose di magia autentica. Un mirabile esempio di come il fantasy possa raccontarci di noi, della nostra forza, dei nostri timori, del bisogno di sognare e della fatica di crescere… di come possa l’uomo impoverirsi rinunciando alla fantasia.
L’esperienza vissuta da Tara può infatti essere letta come un’allegoria del difficile passaggio dall’infanzia alla vita adulta e del rischio di smarrire qualcosa di essenziale lungo questo percorso.
Come lo stesso dottor  Underwood tenterà di spiegare, è emblematico il fatto che l’affascinante elfo zingaro giunto negli Outwoods a rapire Tara, si presenti con il nome di Hiero che sembra racchiudere in sé i due termini, ieri (hier) ed eroe (hero): ieri come il tempo passato, quello dell’infanzia che serba la capacità di esercitare l’immaginazione, eroe nella misura in cui incarna il mito dell’eterna giovinezza, anch’essa  gravida di sogni e di grandi speranze.
Leggendo ci si ritrova divisi tra le interpretazioni scientifiche tentate dallo psichiatra e i racconti fantastici della sua paziente. Plausibili le prime, eppure non meno convincenti i secondi poiché più si ascolta Tara e più si comprende, a un livello quasi inconscio, ancestrale, che non sta affatto mentendo, che basta chiudere gli occhi e tornare bambini per ricordare che nulla è impossibile… che, forse, a essersi smarita davvero non è lei ma coloro che sono rimasti, rinunciando ai propri sogni, illudendosi che fosse quella la giusta chiave per diventare adulti maturi.
In fondo Tara somiglia ancora a se stessa, più di quanto i suoi genitori divenuti vecchi e spenti  somiglino alla coppia giovane e piena di vita di vent’anni prima; più di quanto il fratello Peter, divenuto un noioso padre di famiglia impegnato a ferrare cavalli dalla mattina alla sera somigli all’adolescente che picchiava duro su una batteria preparandosi a conquistare il mondo con la sua musica.
Ho amato questo romanzo dalla prima all’ultima parola. Ho adorato perdermi e ritrovarmi tra le sue pagine riuscendo,  a tratti, a scorgere nella protagonista piccole parti di me.
L’universo letterario è costellato di ottimi libri,  solo alcuni però sanno brillare tanto da illuminarti dentro. Vita di Tara è uno di quelli.


















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